Prima Conferenza nazionale dell'Educazione Ambientale
Genova, aprile 2000

Riportiamo i passaggi più significativi di alcune relazioni presentate al Convegno e una sintesi del documento conclusivo.
Le relazioni integrali sono state pubblicate sul sito del Ministero dell'Ambiente.

EDO RONCHI, Ministro dell'Ambiente
Conoscenza, consapevolezza, capacità per promuovere un modello culturale orientato alla sostenibilità dello sviluppo

“Una buona politica ambientale richiede tre fattori di base, tre precondizioni: conoscenza, consapevolezza, capacità.
Conoscenza di base e conoscenze specifiche sono necessarie per sapere che l’ambiente ha una capacità di carico limitata, che l’impatto ambientale è una funzione del numero delle persone, del loro livello di consumo di risorse e di benessere e delle tecnologie disponibili, che l'ecosistema locale o la biosfera più in generale sono dei sistemi di relazione fra fattori viventi e fattori non viventi e che in queste relazioni, note solo in parte, lo squilibrio di una parte può produrre conseguenze previste o impreviste su altre.
Conoscenze specifiche sono necessarie per non confondere l’effetto serra con il buco nell’ozono, per sapere quali inquinanti derivano dal traffico nelle città e quali rischi comportano per la salute, per sapere quali inquinanti si trovano negli scarichi idrici e quali rischi comportano, per sapere cosa succede se si continua a tagliare le foreste o se si continua a ridurre a ritmi accelerati il numero delle specie viventi e via dicendo.
Purtroppo il livello di conoscenza di base delle problematiche ambientali è ancora scarso e quindi le politiche ambientali devono ancora troppo spesso fare i conti con l’ignoranza ed il pregiudizio: ignoranza dei costi ambientali, sociali ed economici di determinate scelte, pregiudizio che porta a privilegiare alcuni aspetti di vantaggio immediato e particolare, a scapito di interessi più generali e rilevanti.
Ma anche un buon livello di conoscenza non basta se non c’è un livello adeguato di consapevolezza.
La conoscenza di per sé non porta né alla coscienza dei limiti (non abbiamo una Terra di scorta), né al principio di precauzione (non si passa sotto un cornicione pericolante senza aspettare che la tegola ci cada in testa) e né a considerare l’ambiente una effettiva priorità (in particolare quando non comporta un costo o un beneficio diretto e immediato, ma solo un potenziale beneficio o rischio futuro, in particolare per le future generazioni).
La consapevolezza della questione ambientale è la maturazione di una convinzione, è una presa di coscienza, non solo di singoli aspetti di un problema, non solo di una problema fra i tanti, ma di una questione cruciale della nostra epoca che avrà un ruolo sempre più importante nella qualità della vita di ciascuno, nella qualità sociale e dello stesso sviluppo economico.
Conoscenza e consapevolezza devono poi tradursi in capacità di risposta, di soluzione, a vari livelli. Con adeguate capacità tecniche e professionali, istituzionali e legislative, economiche e industriali.
Molti problemi ambientali possono essere affrontati facendo meglio con meno, migliorando il benessere riducendo il consumo di risorse, moltiplicando l’efficienza nell’uso dei materiali e dell’energia.
Queste capacità tecniche e professionali, fondate su una conoscenza e consapevolezza ambientale, devono investire tutti i settori economici: dall’industria all’agricoltura, dai trasporti al turismo, dall’energia ai rifiuti, perché solo così ci potrà essere una concreta prospettiva di sviluppo sostenibile. E devono investire anche i consumi, le abitudini gli stili di vita. Non può essere che la bicicletta sia considerata dai giovani fuori moda; non è accettabile che in città per ogni minimo spostamento si usi la propria auto; nè che si acquisti un frigorifero senza neanche informarci sui suoi consumi elettrici, che ancora troppe famiglie non facciano la differenziazione dei propri rifiuti.
In fondo, consumi, abitudini e stili di vita ecologicamente sostenibili richiedono un cambiamento anche dei processi informativi, formativi ed educativi che hanno comunque un ruolo rilevante, anche se non esclusivo, nell’orientare i comportamenti. Come viene più volte richiamato anche nei documenti e negli atti di indirizzo della Comunità europea, si tratta infatti di promuovere un modello culturale orientato alla sostenibilità dello sviluppo e, quindi, alla ricerca di quelle soluzioni innovative attraverso le quali stabilire “sul campo” la coniugazione ambiente/sviluppo.
Il 5° Programma di azione in materia ambientale della Comunità europea “Per uno sviluppo durevole e sostenibile. Programma politico d’azione della Comunità europea a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile” (Guce C 138 17.5.93) ripropone in diverse parti questo concetto laddove, nel definire lo sviluppo sostenibile, ribadisce che “...ogni tipo di attività dell’uomo, sia essa economica, sociale o culturale, dipende dalla qualità delle interrelazioni tra la società e il mondo della natura. Lo sviluppo è “reale” solo se migliora la qualità della vita” e ciò presuppone “la conservazione dell’equilibrio generale e del patrimonio naturale, la ridefinizione di criteri e strumenti di analisi costi/benefici nel breve, medio e lungo periodo e il valore socio-economico reale dei consumi e della conservazione del patrimonio naturale e una distribuzione e un uso più equi delle risorse tra tutti i Paesi e le regioni del mondo”. Questi obiettivi richiedono “...un grande cambiamento di mentalità e modelli attuali di consumo e di comportamento” per realizzare i quali sarà necessaria un’azione che si faccia carico della “condivisione delle responsabilità a tutti i livelli della società, dei governi nazionali, amministrazioni regionali e locali, organizzazioni non governative, istituti finanziari, settori della produzione e della distribuzione, nonché privati cittadini” in quanto “il successo dello sviluppo durevole e sostenibile dipende in grande misura dalle decisioni, dalle azioni e dall’influenza dell’opinione pubblica”……

…… La Conferenza, che si apre oggi, vuole stimolare la riflessione sui vari aspetti che caratterizzano attualmente il ruolo dell’educazione ambientale posta di fronte a sfide e scenari nuovi, che investono il mondo della scuola e il mondo del lavoro. In particolare i temi dell’autonomia scolastica, della formazione professionale, dello sviluppo locale, delle nuove tecnologie sono solo alcuni dei terreni sui quali occorre ridefinire ruoli, competenze e strategie che possano, funzionalmente, rendere l’educazione e la formazione ambientale strumenti e supporti efficaci di tali cambiamenti.
Un’educazione ambientale vista come Educazione allo Sviluppo Sostenibile. E’ evidente quindi che l’Educazione Ambientale non è circoscrivibile entro i confini d’una nuova materia né si può identificare con qualche contenuto preferenziale.
L’Educazione Ambientale si configura piuttosto come un modo di intendere l’educazione, la scuola e la società.
Una disciplina che permei tutte le altre materie e intervenga a tutto campo nell’ambito socio-economico-culturale.
Una Educazione che sia in grado di evidenziare la complessità del mondo naturale ma anche di quello antropico.
Che abbia come obiettivo quello di costruire una mentalità capace di pensare per relazioni, in una visione sistemica dell’ambiente e di ispirare le proprie azioni al concetto di “limite”.
Un’educazione in grado di creare una cittadinanza consapevole a livello locale e a livello globale.


ALFREDO MILANACCIO, Università di Torino
Partecipazione e società sostenibile

“……L’analisi della partecipazione propone come strumento utile per un ordinamento cognitivo del campo almeno quattro livelli della partecipazione stessa:
a. al “grado zero”, la partecipazione come semplice e passivo comportamento di conformità al ruolo: p.es. l’insegnante che ripete anno dopo anno le stesse lezioni trite e obsolete e accetta fatalisticamente la struttura dell’autorità e gli orientamenti culturali dell’organizzazione di cui comunque è parte;
b. la partecipazione come interpretazione del ruolo: p.es. l’insegnante che “si batte” con impegno, entusiasmo e idee supplementari (e spesso non richieste) per trasformare la struttura dell’autorità dell’organizzazione di cui sente di essere parte;
c. la partecipazione come superamento del ruolo, cioè come ri-definizione degli orientamenti culturali dell’organizzazione: p.es. l’insegnante che “trasferisce” dentro l’organizzazione le proprie convinzioni, appartenenze, identità formatesi per lo più all’esterno e, per dire, rivendica una scuola che sia imperniata sull’educazione ambientale;
d. la partecipazione come azione collettiva, cioè l’estensione degli attori sociali legittimati a prendere parte ai processi decisionali (quindi, la loro inclusione diretta o mediata nelle agenzie dell’esercizio del potere) e l’estensione degli ambiti decisionali… Un discorso non superficiale né soprattutto manipolatorio sulla partecipazione si deve porre i seguenti quesiti: chi partecipa? con chi si partecipa? dove si partecipa? per che cosa si partecipa? contro chi o che cosa si partecipa?

La relazione fra partecipazione e società sostenibile è forte, diretta e immediata
La società sostenibile, già nelle dichiarazioni finali delle ONG alla Conferenza di Rio nel 1992, è stata concettualizzata come una costruzione– non una benevola e illuminata elargizione “dall’alto” – e lo stesso termine “costruzione” comprende l’idea di partecipazione.
La società sostenibile può essere schematicamente tematizzata in quattro aree, o percorsi, inter-dipendenti e co-dipendenti:
1) la crescita dello sviluppo umano, cioè l’estensione delle opportunità di scelta per ogni individuo, gruppo, cultura;
2) la riduzione delle povertà umane, nelle quali il reddito monetario è solo una delle componenti e neppure la più importante;
3) la riduzione delle diseguaglianze sociali, cioè la riduzione dei fattori e degli ambiti dell’esclusione sociale;
4) l’affermazione del diritto alla vita per ogni essere vivente, umano, animale, vegetale secondo i caratteri peculiari della propria specie.
Naturalmente, il prerequisito funzionale alla costruzione di una società sostenibile si esprime nel rifiuto forte della gerarchia, concettuale e pratica, che vede l’economia comandare sulla società, e gli indicatori e i parametri economici estendersi in, ed occupare, ambiti sistemici estranei e impropri (alla cultura, alla politica, al diritto, alle relazioni interpersonali).

MARIA BERRINI, Istituto di Ricerche Ambiente Italia
Le Agende 21: strumenti per la crescita della consapevolezza, per la costruzione di visioni condivise, per l'attivazione del protagonismo sociale e della partnership locale

“L’Agenda 21 (“l’agenda delle cose da fare nel 21° secolo”) è un Piano d’azione per la sostenibilità, costruito e messo in pratica attraverso un percorso che coinvolge attivamente, in tutte le sue principali fasi, la comunità interessata
La diffusione di questo strumento, assunto come impegno per tutti gli stati partecipanti alla Conferenza di Rio de Janeiro del '92, ha ormai preso piede in moltissime realtà a livello internazionale, con particolare diffusione a livello locale (Agende 21 Locali, sviluppate nelle città o in gruppi di città tra loro confinanti). Nel Regno Unito, anche grazie ad una politica nazionale di sostegno e promozione, più dell’80% delle comunità locali è da tempo impegnato in processi di Agenda 21 e percentuali di diffusione simili si rilevano in altri paesi europei.

Il processo di Agenda 21 costituisce il cammino lungo il quale la comunità locale innanzitutto rafforza la propria capacità di analizzare e valutare la propria realtà e quindi consolida la propria consapevolezza circa i problemi da affrontare e le opportunità da valorizzare. Quando tutti gli attori sono disponibili e capaci di mettersi realmente in gioco, ognuno con le proprie responsabilità e risorse, questa risorsa diviene la premessa migliore per tentare di costruire una “visione condivisa” circa priorità, obiettivi, strategie da perseguire. Il concetto di “sviluppo sostenibile” si può così declinare nel concreto contesto delle specificità locali, ma con la disponibilità a “guardare lontano”, tenendo in considerazione le problematiche globali e di lungo periodo.

Si tratta di una svolta radicale nel modo di comunicare e relazionarsi tra attori locali: l’amministrazione pubblica deve smettere di svolgere un ruolo solo paternalista o autoritario, i soggetti sociali devono giocare su terreni diversi da quelli del conflitto o della testimonianza, i soggetti economici devono ragionare anche in termini di interessi generali. Ognuno deve soprattutto riconoscere le ragioni degli altri, cercando nel contempo le soluzioni che possano soddisfare interessi, convinzioni culturali e sistemi di valori il più possibile condivisi.

La stessa costruzione di un Piano d’azione (il documento conclusivo del processo, a forte valenza operativa) impone a tutti i soggetti di ragionare in maniera nuova: in modo integrato (“il mondo tutto attaccato”), in una prospettiva multiobiettivo, individuando le priorità, valorizzando le sinergie, selezionando le “cose da fare” in funzione della disponibilità di risorse (finanziarie, umane, di tempo) e in funzione della efficacia delle soluzioni individuate.

In questo quadro l’educazione ambientale assume un ruolo essenziale nel preparare gli attori del cambiamento a questo percorso. Servono capacità di pensare alla realtà in modo integrato, competenze tecniche di base diffuse, capacità di sintesi, abitudine al dialogo e alla costruzione di esperienze di partenariato. Si pensi inoltre alla opportunità di diffondere la capacità di utilizzare gli indicatori ambientali e di sostenibilità, strumenti che nei processi di Agenda 21 stanno diventando essenziali per comprendere le tendenze e le priorità, per indicare la direzione da seguire, per monitorare nel tempo il raggiungimento dei risultati.

Nel contempo l'Agenda 21 locale rappresenta un'occasione di sperimentazione sul campo di questo nuovo modo di educare al cambiamento. Se l'Italia la saprà cogliere, la diffusione di Agende 21 locali potrà rappresentare un laboratorio eccezionale per dare ai formatori lo spazio di verificare e sviluppare le tecniche educative di cui si discute in questa conferenza.

Ma soprattutto, le scuole di ogni livello e grado, gli insegnanti e gli studenti, possono diventare protagonisti importanti dei processi locali di Agenda 21, organizzandosi per partecipare alla discussione e alla elaborazione di proposte e attivandosi infine per farsi carico dell'attuazione di specifiche linee di azione, che le Agende 21 locali indicheranno come prioritarie "cose da fare per il 21° secolo".

TITTI VINCENZA BRAGGION -Italia Nostra
Note metodologiche e organizzative su formazione e strumenti formativi per educare alla percezione del “mosaico ambientale”

“L’Associazione Italia Nostra, da ormai cinquant’anni si è impegnata a promuovere una serie di interventi culturali finalizzati a rendere consapevoli i cittadini dell’importanza di sviluppare una coscienza culturale e civile riguardo la necessità della salvaguardia del patrimonio delle risorse naturali e culturali gravemente in pericolo. In quest’ottica, fra le sue azioni, l’associazione ha considerato primario dedicare particolare attenzione alla formazione di giovani e adulti secondo tali modelli culturali, organizzando corsi di formazione per insegnanti e molto materiale didattico-metodologico……

….la Scuola e il mondo della formazione professionale, non possono rinunciare ad approfondire con adeguati strumenti metodologici i problemi relativi a:

a) Percezione del paesaggio come mosaico ambientale e luogo della memoria.
Un paesaggio non è solo immagine visiva di un ambiente ma è anche il luogo dell’apprendimento. Spesso, l’idea stessa di paesaggio viene attribuita ad un “altrove”, distante da luoghi del vivere e del lavorare quotidiano, il più delle volte impoveriti come diversità e come tracce di storia ambientale (paesaggio/manufatto); in realtà anche il più limitato degli skyline urbani è paesaggio e può essere descritto in quanto tale.
Le potenzialità educative del paesaggio agiscono sulla:
memoria esperienziale: paesaggio come scenario dell'apprendere; la memoria funzionale sarà perciò contestualizzata cioè legata non solo al "come" ma anche al "dove" si è appreso;
memoria affettiva: l'evoluzione delle neuroscienze ha rivelato che sensorialità ed emozioni sono parte rilevante nel processo di memorizzare. Perciò sentirsi "legati ad un paesaggio" è parte dell'identità personale e sociale;
memoria relazionale: sapere riconoscere gli elementi che compongono un paesaggio e le relazioni che fra essi intercorrono diventa (specie nell'età evolutiva della scuola primaria) un’importante mappa cognitiva. Perciò l'utilizzo di itinerari ambientali (dal "vicino e noto" verso il "distante e sconosciuto") è momento formativo delle relazioni individuo / ambiente / società.

b) Formazione di cittadini consapevoli dei fattori positivi e negativi che derivano dalla differente gestione ambientale.
E’ questo un ambito in cui l’educazione scolastica e permanente può incidere molto, perché dalle scelte consapevoli può discendere una migliore qualità dell’ambiente e della vita. Molti effetti negativi della gestione ambientale derivano dall’ignoranza che i cittadini hanno della complessità dei processi ambientali, di cui si conosce spesso solo una piccola parte, ma che condizionano interamente la vita umana.

c) Responsabilità individuale nel rispetto delle persone e degli ambienti di vita.
Responsabilità che comprende la consapevolezza della complessità dei processi ambientali e l’atteggiamento che ogni uomo deve avere rispetto alla conservazione del suo ambiente di vita. Un ambiente armonioso e ordinato crea serenità interiore e spinge a comportamenti più rispettosi nei confronti delle persone e delle cose.

Da questo ne consegue che l’Educazione all’Ambiente e ai Beni Culturali per poter essere definita tale, secondo noi, deve essere collocata alla base di tutto il processo educativo ed essere sviluppata in maniera trasversale e continua sia nell’ambito dei diversi linguaggi disciplinari sia nei diversi livelli scolastici, fino ad occuparsi della formazione degli operatori (museali, turistici, tecnici ecc.).
Pertanto, deve essere vissuta non in maniera sporadica ed occasionale o a livello solo emotivo (come avviene ancora oggi molto diffusamente), ma secondo progetti educativi a lungo termine che si sviluppino per gradi di apprendimento, avviando i giovani a quelle nuove professionalità di cui una seria politica ambientale ha bisogno per migliorare una realtà divenuta ormai critica. La situazione invece risulta confusa anche a causa della mancanza di capacità selettive degli utenti, che spesso tendono ad attribuire ai cosiddetti “professionisti dell’ambiente” un ruolo di educatori per il quale non sono specificamente preparati.
Non si deve sottovalutare il fatto che chi promuove la formazione, deve comprendere tutte le implicazioni che questo ruolo comporta, non perdendo mai di vista le responsabilità e le competenze degli specifici ambiti professionali.
Le competenze di chi svolge il ruolo di educatore in questo ambito, secondo noi, debbono diversificarsi a seconda che siano esercitate da docenti o da operatori di diverso tipo (tecnici, museali, guide turistiche ecc.). Oggi la formazione professionale degli operatori ai vari livelli si presenta molto eterogenea e squilibrata: in alcuni casi richiede corsi di studio molto impegnativi, in altri casi avviene semplicemente dopo aver frequentato corsi brevi e di discutibile qualificazione.
Si assiste inoltre troppo spesso al prevalere di logiche di interesse promozionale legate più a fini occupazionali o di mercato, a scapito di un effettivo processo educativo.
In questi ultimi anni assistiamo ad una proliferazione di offerte per “fare Educazione all’Ambiente e ai Beni Culturali” provenienti da ambiti disparati, non sempre di buona qualità e, a volte, anche di dubbia provenienza. Italia Nostra, di fronte a questo problema, ritiene sia giunto il momento in cui le massime istituzioni ministeriali e regionali, mettano un po’ di ordine e di chiarezza in un campo così delicato e complesso.”

APPUNTI PER UN DOCUMENTO CONCLUSIVO

Il Comitato Tecnico Interministeriale tra Ministero della Pubblica Istruzione e Ministero dell'Ambiente ha organizzato la prima Conferenza Nazionale dell'educazione ambientale con l'intento di costruire un'occasione per capire, per confrontarsi, per proporre ed un luogo in cui il variegato mondo dell'educazione ambientale potesse rappresentarsi……
“…… La prima idea nasce circa un anno fa. I primi mesi sono stati dedicati all'individuazione del luogo, e qui incontrammo subito la disponibilità del Comune e della Provincia di Genova e della Regione Liguria, ed al reperimento delle prime indispensabili risorse per avviare la preparazione della Conferenza, che furono messe a disposizione dai due Ministeri e dall'ANPA.
Da allora abbiamo tentato di organizzare un percorso di avvicinamento che, se ancora non si può definire “partecipato”, certo ha curato con molta attenzione il coinvolgimento di numerosi soggetti, inaugurando un metodo di lavoro del tutto nuovo nel mondo delle istituzioni. In questo percorso la scelta decisiva è consistita nell'organizzare le attività di sette gruppi di lavoro, che hanno predisposto materiali su cui 200 partecipanti alla Conferenza hanno dato il loro contributo.
Pensiamo che questo modo di procedere sia un segnale del tutto originale nel tradizionale quadro istituzionale delle Conferenze Nazionali, e che non sia un caso che l'idea sia nata proprio nel mondo dell'educazione ambientale.

A Genova abbiamo voluto realizzare una sorta di città dell'educazione ambientale, con tanti angoli e piazze in cui incontrarsi, con occasioni di confronto, con stimoli per riflettere, capire e confrontarsi. Non è stato un errore aver messo in parallelo eventi e momenti di lavoro diversi. Era una scommessa, volevamo offrire un ventaglio di occasioni in cui ciascuno potesse costruire il proprio percorso, avendo a disposizione un tempo sufficientemente ampio. In molti ci avevano sconsigliato dall'organizzare la Conferenza su quattro giorni.
Abbiamo lanciato la sfida. I 2.100 partecipanti alla conferenza, di cui 800 dal mondo della scuola, le 1700 presenze agli speaker's corner, i 58 stand, i 60 pannelli della mostra sui lavori di gruppo, ci dicono che la sfida è stata raccolta, che di questa occasione c'era bisogno.
Certo, molte cose sono da migliorare e da modificare, ma forse abbiamo dato un segnale importante e soprattutto abbiamo lanciato una nuova sfida……

………Abbiamo voluto proporre all'attenzione generale quelli che ci sembrano essere le due grandi novità di questo inizio di secolo, ineludibili per chi si occupa di educazione e di ambiente:
- i nuovi scenari in cui operiamo, impensabili solo cinque anni fa;
- i cambiamenti nel sistema formativo.


Le dinamiche tra globalizzazione ed identità, tra modello liberista e modello solidale, tra partecipazione ed interdipendenze planetarie, tra coesione sociale e nuove tecnologie, tra lavoro ed espansione del peso della comunicazione, e come tutto ciò abbia a che fare con lo sviluppo sostenibile, tracciano un quadro del tutto nuovo dove sono in campo non solo le conoscenze, ma, di nuovo e ancora, valori, comportamenti, mentalità, forme e metodi di governo, ricerca e realizzazioni. Soprattutto realizzazioni; mai come ora le idee su uno sviluppo solidale tra gli uomini e con l'ambiente, lo "sviluppo sostenibile", hanno bisogno di realizzazioni, di esperienze, di dimostrare sul campo di poter avviare pratiche efficaci….

…… non ha senso continuare a fare educazione ambientale se non la si coniuga con l'autonomia scolastica e con l'integrazione di sistemi……
… Oggi, quando la nuova architettura del sistema formativo è essenzialmente disegnata, abbiamo di fronte una grande battaglia perché il progetto culturale, che dovrà ispirare le attività didattiche a scuola, tenga conto del patrimonio metodologico, culturale, epistemologico e organizzativo, che fino ad oggi ha costituito la ricchezza e la forza dell'educazione ambientale.

In questi giorni sono emersi, nella discussione allargata, alcuni nodi ricorrenti, che possono essere così sinteticamente indicati:

- lo sviluppo locale ed il ruolo dell'identità (dei luoghi, dei soggetti, …)
- la partecipazione ed il ruolo di strutture di facilitazione
- l'idea di scuola e di territorio da costruire e diffondere, come condizione del cambiamento dell'uno e dell'altra,
- la contaminazione degli approcci suggeriti dall'educazione ambientale, dovuta alla ricorrenza di questioni similari in ambiti molto diversi
- il ruolo culturale "pervasivo" oggi dell'educazione e della formazione
- la capacità e la necessità di avviare e di governare il cambiamento
- la necessità di avviare percorsi di ricerca sui nodi emergenti
- la diffusione delle buone pratiche

Ne deriva la necessità di avviare un percorso intrecciato di ricerca e azioni che ha bisogno di condividere alcuni presupposti:
1. …… l'educazione ambientale è un progetto culturale ed educativo di cambiamento, che rende più cogente che mai l'opportunità di parlare di educazione allo sviluppo (o alla società o alla civiltà) sostenibile;
2. il sistema dell'e.a. e per lo sviluppo sostenibile, solidale e partecipato, deve essere ad altissima capacità evolutiva, quindi dinamico e capace di instaurare sempre nuove relazioni;
3. nel sistema dell'e.a. e per lo sviluppo sostenibile, solidale e partecipato, esiste una dimensione nazionale oggi essenzialmente rappresentata dall'INFEA, ed una dimensione regionale che dovrebbe essere fortemente integrata tra i vari aspetti del sistema formativo; sembra di poter dire che in tutti e due i casi si rende necessario un momento di organizzazione “riconoscibile” del sistema per l'e.a. e per lo sviluppo sostenibile, solidale e partecipato, ed un forte impulso all'integrazione;
4. nonostante le novità in campo sia nel mondo della scuola che negli altri ambiti (parchi, sviluppo locale, imprese) non sono affatto dissolti i rischi di autoreferenzialità e di chiusura, anzi, oggi più che mai il superamento dell'autoreferenzialità è una battaglia strategica.


Dai lavori della Conferenza nasce un denso programma di indicazioni e suggerimenti per intrecciare ricerca ed azione, finalizzate alla diffusione di buone pratiche: sono indicazioni preziose, che dovranno costituire il programma di lavoro del Comitato Tecnico Interministeriale………”

 

 
<< l'educazione sostenibile in Italia