estratto da: THE NATURE OF DESIGN
di David W. Orr, 2002
traduzione di Franca Bossalino

Abbiamo bisogno di una prospettiva che leghi le grandi vittorie della civiltà, come i diritti civili e la democrazia, a una visione più ampia del nostro posto nel cosmo- che Berry chiama ‘la storia dell’universo’. Qualunque nome abbia, quella filosofia deve connetterci alla vita, gli uni agli altri, e alle generazioni future. Deve aiutarci ad elevarci al di sopra di qualunque settarismo e della vanità che pone gli interessi umani, in un particolare tempo, al centro di tutti i valori e i significati.
Inteso nel modo giusto, un illuminismo più ampio e ecologicamente informato sconvolgerà le comode filosofie del mondo moderno nello stesso modo in cui l’Illuminismo del XVIII secolo soppiantò le gerarchie medievali della chiesa e della monarchia.
Il fondamento dell’illuminismo ecologico sono i 3.8 miliardi di anni di evoluzione. La storia dell’evoluzione registra strategie di progetto man mano che la vita nelle sua varietà si evolve in un‘ampia efflorescenza di creatività biologica.
La grande concezione del mondo industriale consiste nel credere che noi non siamo sottomessi alle leggi che governano il resto della creazione.
La natura in questa visione è qualcosa che deve essere dominata e subordinata.
Progettare con la natura, d’altra parte, disciplina le intenzioni umane per mezzo della crescente conoscenza di come il mondo funziona in quanto sistema fisico. L’obiettivo non è la totale padronanza, ma l’armonia che non produce bruttezza, umana o ecologica, in qualche altra parte o in qualche tempo a venire.
E non ha a che vedere soltanto con il fare le cose, ma piuttosto con il rimodellare la presenza umana nel mondo che sia tale da onorare la vita e proteggere la dignità umana.
Il progetto ecologico è un concetto ampio che unisce la scienza e le arti pratiche con l’etica, la politica e l’economia.
In un modo o nell’altro tutti gli interrogativi importanti del nostro tempo hanno a che fare col modo in cui procediamo con la Grande Opera, trasformando l’attività umana sulla terra da distruttiva a partecipativa e le attitudini umane verso la natura, da una specie di autismo ad un’adeguata riverenza.
Sarebbe folle pensare che quello che è stato fatto in alcuni secoli, possa essere disfatto rapidamente e completamente. Ma sarebbe anche il massimo della follia continuare sulla strada intrapresa o concludere che siamo condannati e rinunciare alla speranza.
Per la maggior parte di noi la Grande Opera comincia dove siamo, nei piccoli atti della vita quotidiana, combinando un modello di lealtà e fedeltà a un ordine più alto dell’essere.
I riferimenti di coloro che sono impegnati nella Grande Opera dovunque si trovino debbono essere la grandezza del cuore, il respiro della prospettiva, la competenza pratica e il tipo di intelligenza che distingue i modelli ecologici.
Questo è un ordine alto ma abbiamo un’eredità di intelligenza del progetto ecologico a nostra disposizione, se abbiamo la volontà di assumerla come riferimento.
Il punto di partenza per il progetto ecologico non è il passato mitico ma l’eredità dell’intelligenza progettuale evidente in molti luoghi, tempi e culture precedenti alla nostra. Non dobbiamo re-inventare la ruota. Quello di cui abbiamo bisogno nei decenni futuri è riscoprire e sintetizzare, e anche inventare…
…La storia delle popolazioni insediate in molti luoghi del mondo rivela come la cultura e l’ecologia di particolari luoghi si siano integrate con grande intelligenza e abilità. I risultati, per quanto imperfetti, sono habitat in cui cultura e natura hanno fiorito insieme per molte generazioni.
…Il progetto, per queste popolazioni, è molto più che l’opera di alcuni individui eroici.
Il processo per cui le culture e le società si evolvono attraverso lunghi periodi di tempo in luoghi particolari si manifesta non tanto nelle cose uniche e spettacolari quanto nella stabilità complessiva e nella prosperità a lungo termine.
Infatti, è l’assenza di monumenti spettacolari come le piramidi, le scintillanti torri per uffici e i centri commerciali, che segnala l’intenzione della popolazione a insediarsi e restarci per un po’. Il progetto in tali luoghi è un processo culturale che si estende lungo molti secoli ed ha caratteri identificabili.
In contrasto con il ritmo frenetico delle società industriali, le culture insediate lavorano lentamente, “con un paziente e sempre crescente amore per il fare che [persuade] la terra a fiorire.”
[Queste culture] tendono a limitare l’eccesso in vari modi. Stravaganza, egocentrismo, grandi ricchezze, grandi case e consumi eccessivi vengono per la maggior parte scoraggiati, mentre si incoraggiano la cooperazione, il vicinato, la competenza, il risparmio, la responsabilità e l’autonomia.
Dubito che questi tratti vengano nominati spesso, ma sono manifesti nella routine della vita quotidiana. E’ semplicemente il modo in cui le cose sono.
La cultura occidentale con il suo culto dell’egoismo, dell’occuparsi delle cose proprie, del consumo, della ricchezza e del tenere aperte le opzioni personali è semplicemente incomprensibile dal loro punto di vista. …Le culture tradizionali, senza usare la parola ‘ecologia’ hanno progettato con l’ecologia in mente, perché altrimenti la conseguenza sarebbe stata la rovina, la carestia e la disintegrazione sociale.
…si sono evolute come una continua negoziazione all’interno della singola comunità e fra la comunità e le realtà ecologiche di particolari luoghi. Tali culture non sono tanto il risultato della ricerca scientifica quanto del continuo sperimentare a una scala abbastanza piccola da avere un rapido feedback di causa ed effetto. Il progetto ecologico quindi richiede non tanto un insieme di generiche abilità progettuali, quanto piuttosto l’intelligenza collettiva di una comunità che si applica su problemi particolari, in un particolare luogo, e per un lungo periodo di tempo.
Il progetto ecologico a livello delle culture rassomiglia alla struttura e al comportamento dei sistemi elastici in altri contesti in cui il feedback tra l’azione e la successiva correzione è veloce, in cui le persone sono responsabili delle proprie azioni, la ridondanza funzionale è alta e il controllo è decentralizzato. Alla scala locale le azioni della gente sono conosciute e così la responsabilità tende ad essere alta. La produzione è distribuita in tutta la comunità, il che significa che la disgrazia del singolo non distrugge l’insieme.
Impiego, cibo, carburante e divertimento derivano prevalentemente dalla località, il che significa che la gente è in qualche modo protetta dalle forze economiche che sono al di là del proprio controllo.
Similmente, la decentralizzazione del controllo alla scala della comunità significa che le patologie della amministrazione alla grande scala sono quasi assenti.
Inoltre essere situati in un luogo da generazioni crea una lunga memoria del luogo e di conseguenza delle sue possibilità ecologiche e dei suoi limiti…
<Quello che la natura ci dà è influenzato da ciò che noi diamo alla natura> (Deloria). Quando la ricchezza non è più considerata un dono che deve essere passato da persona a persona, allora e soltanto allora, appare la povertà.
Questo libro non propone di tornare a una specie di condizione mitica di innocenza ecologica. Questa non è mai esistita. Comincia comunque con il riconoscimento che dobbiamo re-imparare cose importanti sull’arte della longevità -quella che oggi si chiama ‘sostenibilità’- dalle culture che ci hanno preceduto e da altre società.
Molte di queste culture ci appaiono stranamente arcaiche se non addirittura totalmente incomprensibili. Ma in un arco di tempo più grande la nostra enfasi sulla crescita economica, sul consumo e sull’individualismo sarà ancor meno comprensibile alle successive e- speriamo- più sagge generazioni.
Portare avanti la Grande Opera del costruire una società ecologicamente duratura e decente ci richiederà di confrontarci con le radici culturali più profonde dei nostri problemi e di crescere nella convinzione che non possiamo affrontare la sfida della sostenibilità senza cambiare davvero e molto. L’evidenza, credo, ci dimostra che dovremmo cambiare un bel po’ e soprattutto in modi che arriveremo a considerare ampiamente migliori di quello che oggi esiste e certamente migliori di quello che è nelle previsioni.
Questa è una sfida progettuale come nessun’altra. Non ha a che fare con congegni più verdi ma col modo in cui creeremo comunità decenti che si adattano ai loro luoghi con elegante frugalità.
Si tratta di capire se il campo emergente del progetto ecologico si evolverà come un insieme di abilità applicate come soluzioni a patchwork su un modello più grande di disordine, o se il progetto ci aiuterà a trasformare la più grande cultura che ha un tremendo bisogno di essere riformata. Io spero nella seconda. Il consumismo verde o le aziende verdi, sono cerotti messi sulle ferite inflitte da un’economia troppo indifferente ai reali bisogni umani e dai pressanti problemi della sopravvivenza umana nel lungo termine.
Le aziende debbono certamente essere migliorate ma il problema maggiore del progetto ha a che fare con la struttura di un’economia che promuove l’eccesso nel consumo, la concentrazione del potere nelle mani di pochi, e che distrugge i legami che uniscono la gente nella comunità.
Il problema non è produrre in modo ecologico cose per l’economia del consumo, ma come creare comunità decenti in cui le persone crescono per essere cittadini responsabili e integri.
I saggi (contenuti in questo libro) aspirano ad ampliare il concetto di progetto ecologico, ad esplorare varie patologie che lo impediscono, e a individuare le implicazioni educative del progetto.
Nella parte finale si delineerà uno standard del progetto orientato alla generosità nel senso più ampio della parola, alla preservazione dello stato naturale e delle aree deserte e di una cultura che protegga i bambini.

L’ecologia umana come un problema del progetto ecologico

Il problema dell’ecologia umana
Qualunque siano le cause particolari, tutti i problemi ambientali hanno un fondamentale tratto in comune: con rare eccezioni sono effetti collaterali non voluti, non previsti e alcune volte ironici, di azioni che nascono da altre intenzioni. Noi intendiamo fare una cosa e prima o poi otteniamo qualcosa di molto diverso. Noi intendiamo semplicemente essere prosperosi e sani ma abbiamo inavvertitamente provocato un’estinzione di massa delle altre specie, abbiamo diffuso l’inquinamento in tutto il mondo e causato il cambiamento climatico, con ciò minacciando la mostra prosperità e la nostra salute.
I problemi dell’ambiente, quindi, sono soprattutto il risultato di un errore nel calibrare le intenzioni umane rispetto ai risultati ecologici, il che è come dire che sono una specie di fallimento del progetto.
La possibilità che i problemi ecologici siano fallimenti progettuali è forse una brutta notizia perché può essere il segno di fallimenti inerenti alle nostre capacità percettive e mentali.
Dall’altra parte, può essere una buona notizia. Se i nostri problemi sono, in grande misura, il risultato del fallimento del progetto, la soluzione ovvia è un progetto migliore, e con ciò voglio dire una più stretta corrispondenza tra le intenzioni umane e i sistemi ecologici in cui si riverseranno i risultati delle nostre intenzioni.
L’eterno problema dell’ecologia umana è il modo in cui le differenti culture si procurano il cibo, il riparo, l’energia e i materiali dal loro intorno.
Il progetto ecologico descrive l’insieme delle tecnologie e delle strategie per mezzo delle quali le società usano il mondo naturale per costruire la cultura e rispondere ai bisogni.
Poiché il mondo naturale è continuamente modificato dalle azioni umane, la cultura e l’ecologia sono le parti variabili di un’equazione che non può mai essere risolta. Né può esserci un’unica corretta strategia del progetto. I cacciatori-raccoglitori vivevano con l’energia solare.
I baroni feudali estraevano la ricchezza dalla luce del sole sfruttando i servi che coltivavano la terra. Noi ci riforniamo scavando l’antica luce del sole immagazzinato come carburante fossile.
La scelta non è se le società umane abbiano o no delle strategie di progetto, ma se la strategia funziona ecologicamente e possa essere sostenuta all’interno della capacità rigenerativa del particolare ecosistema.
Il problema del progetto ecologico è diventato più difficile man mano che la popolazione è aumentata e la tecnologia si è moltiplicata. E’ così diventato il problema principale del nostro tempo, che investe virtualmente tutti gli altri temi dell’agenda umana. Dal modo in cui -e dall’intelligenza con cui- noi intrecceremo la presenza umana nel mondo naturale, dipenderà la riduzione o l’intensificazione degli altri problemi che hanno a che fare con i conflitti etnici, con l’economia, con la fame, la stabilità politica, la salute e la felicità umana.

Il progetto ecologico
I problemi che si stanno aprendo nell’ecologia umana non si risolvono ripetendo i vecchi errori in modo nuovo, più sofisticato e potente. Abbiamo bisogno di un cambiamento più profondo come quello che aveva in mente Albert Einstein quando disse che lo stesso pensiero che aveva creato i problemi non avrebbe potuto risolverli. (Citato da Mc Donough e Braungart, 1998)
Abbiamo bisogno di quello che l’architetto Sim van der Ryn e il matematico Stewar Cowan definiscono una rivoluzione ecologica del progetto. Secondo loro: “Il progetto ecologico è qualunque forma di progetto che minimizzi gli impatti ambientalmente distruttivi integrandosi con i processi della vita… l’effettivo adattamento è l’integrazione con i processi della natura”… Il progetto ecologico non comincia con quello che possiamo fare ma piuttosto con le domande su ciò che veramente vogliamo fare. Il progetto ecologico, in altre parole, è l’accurata connessione degli scopi umani con i più grandi modelli e flussi del mondo naturale e lo studio dei modelli per informare le azioni umane.
Nel loro libro Il Capitalismo Naturale, Paul Hawken, Hunter Lovins e Amory Lovins propongono una trasformazione nell’efficienza energetica e delle risorse che aumenterebbe drammaticamente la ricchezza usando una frazione delle risorse che attualmente usiamo. La trasformazione non avverrebbe, comunque, semplicemente come un’estrapolazione del trend tecnologico attuale.
Propongono, invece, una più profonda rivoluzione nel nostro modo di pensare gli usi della tecnologia per non finire con “fabbriche estremamente efficienti che producono napalm e gettano via lattine di birra”. Gli autori di Capitalismo Naturale propongono di calibrare in modo più stretto il rapporto tra mezzi e fini. In questo modo, l’efficienza energetica e delle risorse migliorerebbe forse di dieci volte. L’energia necessaria sarebbe prodotta da tecnologie altamente efficienti di piccola scala, che distribuirebbero energia rinnovabile fino al loro esaurimento. Si proteggerebbe il capitale naturale nella forma di terreni, foreste, pianure, aree di pesca oceaniche ed ecosistemi, allo stesso tempo preservando la diversità biologica. Ogni forma di inquinamento sarebbe ridotta e successivamente eliminata dalle industrie selezionate a non scaricare rifiuti. L’economia sarebbe calibrata per adattarsi alle realtà ecologiche. Le tasse sarebbero imposte sulle cose che non vogliamo come l’inquinamento e verranno eliminate per quelle che vogliamo come il reddito e l’impiego.
Questi cambiamenti segnalano una rivoluzione nel progetto che attinge a campi tanto diversi come l’ecologia, i sistemi dinamici, l’energetica, l’agricoltura sostenibile, l’ecologia industriale, l’architettura, l’architettura del paesaggio e l’economia.
La sfida del progetto ecologico è molto di più del semplice problema ingegneristico di aumentare l’efficienza: è il problema della riduzione della velocità alla quale avveleniamo noi stessi e roviniamo il mondo. La rivoluzione proposta da Sym van der Ryn e Cowan deve innanzi tutto ridurre la velocità alla quale le cose peggiorano (coefficiente del cambiamento) ma successivamente deve cambiare la struttura del sistema più grande.
Come sostengono Bill McDonough e Michael Braungart (1998) avremo bisogno di una seconda rivoluzione industriale che elimini proprio il concetto di rifiuto. Questo implica, come a McDonough piace dire “mettere dei filtri alla nostra mente, non agli impianti”.
In pratica, il cambiamento che propone McDonough, implica, tra le altre cose, il cambiamento dei sistemi di produzione per eliminare l’uso di materiali tossici e cancerogeni e sviluppare sistemi a ciclo chiuso che forniscono “prodotti di servizio” e non prodotti che vengano successivamente scaricati nell’aria, nell’acqua e nella terra.
I pionieri del progetto ecologico cominciano con l’osservare che la natura ha continuato a sviluppare strategie per vivere sulla terra che hanno funzionato bene per 3.8 miliardi di anni e che, pertanto, è un modello per:

• Fabbriche che funzionino come foreste e praterie.
• Edifici che accrescano il capitale naturale come gli alberi.
• Sistemi di smaltimento delle acque che funzionino come paludi naturali.
• Materiali che imitino l’ingegnosità delle piante e degli animali.
• Industrie che funzionino come ecosistemi.
• Prodotti che siano parte di cicli che somigliano ai flussi naturali della materia.

L’ostacolo più grande a una rivoluzione ecologica del progetto non è, comunque, tecnologico o scientifico, ma umano.
Se l’intenzione è il primo segnale del progetto, come afferma McDonough, dobbiamo fare i conti con il fatto che le intenzioni umane sono state stravolte, nella storia recente, dalla violenza e dalla sistematica coltivazione dell’avidità, dell’egoismo e del consumo di massa.
Una vera rivoluzione del progetto dovrà trasformare le intenzioni umane e la più grande struttura politica, economica e istituzionale che hanno consentito, in primo luogo, il degrado ecologico.
Un secondo ostacolo a una rivoluzione ecologica del progetto è semplicemente la scala del cambiamento richiesto nei prossimi decenni. Tutte le nazioni, a partire da quelle più ricche dovranno:

• Aumentare l’efficienza energetica da 5 a 10;
• Sviluppare rapidamente le fonti di energia rinnovabile;
• Ridurre la quantità di materiali per unità prodotta da 5 a 10;
• Preservare la diversità biologica che si sta perdendo ovunque;
• Restaurare gli ecosistemi degradati;
• Ri- progettare i sistemi di trasporto e le aree urbane;
• Istituire pratiche sostenibili di agricoltura e silvicoltura;
• Ridurre la crescita della popolazione e successivamente i livelli della popolazione totale;
• Ridistribuire le risorse all’interno e tra le generazioni;
• Definire indicatori più accurati di prosperità, benessere, salute e sicurezza.

Per evitare la catastrofe, tutti questi passi debbono essere fatti nei prossimi dieci anni.

Il progetto ecologico non è riducibile a un insieme di abilità tecniche.
- Il progetto ecologico non è un modo soltanto più intelligente di fare le stesse vecchie cose o un modo di razionalizzare e sostenere una cultura dei consumi rapace, demoralizzante e ingiusta. –
- Il progetto ecologico non è tanto un’arte individuale praticata da progettisti singoli, quanto una continua negoziazione tra la comunità e l’ecologia dei particolari luoghi.
- Il progetto ecologico è un concetto ampio che unisce la scienza e le arti applicate con l’etica la politica e l’economia
- La più grande sfida del progetto è la trasformazione di una società dello spreco in una società che risponda ai bisogni umani con elegante semplicità.
-Progettare ecologicamente richiede una rivoluzione del nostro pensiero che cambi il tipo di domande che ci poniamo: non più domande su come fare le cose in modo più efficiente, ma domande più profonde, quali:

• E’ necessario?
• E’ etico?
• Quale impatto avrà sulla comunità?
• E’ sicuro da fare e da usare?
• E’ giusto?
• Può essere riparato e riusato?
• Qual è il suo costo nell’arco della sua vita prevista?
• C’è un modo migliore di farlo?

estratto da:
David W. Orr, The Nature of Design. Ecology, Culture, and Human Intention, 2002


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