Intervista a Ed Mazria

di Geoff Manaugh BLDG BLOG
traduzione di Franca Bossalino

Lo scorso anno Ed Mazria e la sua organizzazione no-profit Architecture 2030 fondata nel New Mexico, ha rivelato che l’architettura- o il settore edilizio più in generale- è la fonte di emissioni di gas serra più grande al mondo.
Per aiutare a prevenire il cambiamento climatico “catastrofico”, dunque, il settore edilizio deve diventare carbon neutral. Il raggiungimento di questa condizione prima dell’anno 2030 è, come l’ha chiamata Mazria, la Sfida del 2030. Nel tentativo di velocizzare le cose, Marzia ospiterà con altri un evento nel Febbraio 2007, dal titolo L’imperativo del 2010. Sarà la trasmissione in diretta dalla città di New York, di “un dibattito sull’emergenza globale”.
L’Imperativo del 2010- che verrà discusso nel dettaglio più avanti- è stato organizzato in modo specifico attorno all’idea che “l’alfabetizzazione ecologica debba diventare un principio centrale dell’educazione al progetto”, e che “una importante trasformazione della comunità accademica responsabile della progettazione deve cominciare oggi”.
Ho parlato recentemente con Mazria dei cambiamenti climatici, del progetto sostenibile e della carbon neutralità, dello stato attuale e della futura direzione che dovrà prendere l’educazione dell’architetto, degli sviluppi suburbani, di Wal-Mart e dei SUVs e della stessa Sfida del 2030.

Quello che segue è una trascrizione della nostra conversazione.

D: Come ha scelto l’obiettivo specifico della Sfida del 2030?

ED MAZRIA: Ecco, vediamo. Abbiamo identificato la Sfida del 2030 lavorando a ritroso dalle riduzioni nelle emissioni dei gas serra che gli scienziati ci dicevano avremmo dovuto raggiungere nel 2050.
A partire da quelle riduzioni e guardando, in particolare, il settore edilizio- responsabile di circa la metà di tutte le emissioni- si può capire che cosa dobbiamo fare oggi. Si possono vedere gli obiettivi che è necessario raggiungere per evitare di imbatterci in quello che gli scienziati hanno definito un cambiamento climatico catastrofico.
In tal modo, si vede che dobbiamo immediatamente ridurre del 50% i combustibili fossili, l’energia che emette i gas serra, nella costruzione di tutti i nuovi edifici. E poiché rinnoviamo quasi quanto costruiamo ex novo, dobbiamo ottenere la stessa riduzione del 50% anche nelle ristrutturazioni. Se poi, aumentiamo questa riduzione del 10% ogni 5 anni- in modo tale che al 2030 i nuovi edifici non useranno più energia prodotta da combustibili fossili che emettono gas serra- allora raggiungeremo una condizione che è chiamata carbon neutral. E ci arriveremo nel 2030.
Così avremmo raggiunto gli obiettivi che gli scienziati hanno stabilito che dobbiamo raggiungere.
Ecco come abbiamo deciso la Sfida del 2030- il che vuol dire una riduzione del 50% oggi per arrivare al carbon neutral nel 2030.

D: Quando lei dice che il settore edilizio è responsabile della metà di tutte le emissioni di gas serra, intende in senso diretto o indiretto?

ED MAZRIA: In senso diretto. Attualmente si può attribuire al settore edilizio il 48% di tutto il consumo energetico degli USA, la maggior parte del quale- il 40% del consumo totale- può essere attribuito proprio alle operazioni edilizie. Cioè riscaldamento, illuminazione, raffreddamento e riscaldamento dell’acqua.

D: E l’altro 8%?

ED MAZRIA: L’altro 8% è l’emissione di gas serra rilasciati dalla produzione dei materiali da costruzione- materiali che possono specificare gli stessi architetti- come pure durante lo stesso processo costruttivo. Ma la maggior parte, come vede- il 40%- è progetto. Ogni volta che progettiamo un edificio, stabiliamo il suo modello di consumo energetico di emissioni di gas serra per i successivi 50-100 anni. Ecco perchè il settore edilizio e architettonico è così critico.
Ci vuole molto tempo perchè avvengano i cambiamenti- mentre il settore dei trasporti, su gomma, in questo paese, cambia ogni 12 anni.

D: A proposito di questo lei ha messo in evidenza in qualche altra occasione che i SUV (Sport Utility Vehicle) rappresentano circa il 3% delle emissioni totali di gas serra negli USA- che hanno ricevuto l’attenzione e la rabbia dei media. Il vero colpevole è l’architettura progettata senza badare agli sprechi.

ED MAZRIA: La gente deve ricordare, però, che questo non mette l’industria di automobili degli USA- fuori pericolo! Automobili e SUV sono ancora parte del problema e la dobbiamo attaccare. E le soluzioni ci sono. Una delle soluzioni, ad esempio, è usare la tecnologia ibrida, il plug-in e il flex- fuel.
Plug-in significa che si può accumulare energia sul tetto della macchina, con le cellule fotovoltaiche e poi mettere in carica la batteria della macchina la notte e guidare per 30-50 miglia. Poi si può usare la tecnologia ibrida per fare una quantità incredibile di miglia. Poi si può usare il flex-fuel: si può mettere nel serbatoio etanolo piuttosto che combustibili fossili. In quel settore le soluzioni ci sono.

D: Sembra che la Sfida del 2030 abbia incontrato l’entusiasmo sia dell’ American Institute of Architects che della Conferenza dei Sindaci degli Stati Uniti. E’ così o sperava in una reazione migliore?

ED MAZRIA: La reazione è stata immediate e molto gratificante. Non appena abbiamo pubblicato la sfida, nel gennaio 2006, L’AIA l’ha adottata per tutti i suoi 78.000 membri. Con ciò facendo due cose. La prima: cominciando a far girare le ruote all’interno del settore dell’architettura e della costruzione per immaginare in quale modo affrontare la Sfida. La seconda, cominciando a raccogliere le risorse e le informazioni per gli architetti e i progettisti su come cambiare strada.
Altrettanto importante, la Conferenza dei Sindaci degli Stati Uniti ha poi adottato la Sfida del 2030.
In una risoluzione votata nel loro congresso annuale. E’stata votata all’unanimità. La Sfida è stata adottata per tutti gli edifici in tutte le città. Questo è molto importante.

D: Per quanto lontano possa andare la realizzazione della Sfida, è così semplice come far arrivare un nuovo libretto agli imprenditori che spieghi loro in che modo possono cambiare le tecniche di costruzione? O è tanto complesso quanto cambiare le lauree dell’intera università?

ED MAZRIA: Innanzi tutto bisogna informare.
La gente deve essere veramente consapevole di questo argomento.
Le Università non capiscono davvero quale sia il loro ruolo in tutta questa situazione. Perciò il primo passo è informare- e siamo andati già molto avanti a questo riguardo. Abbiamo scritto moltissimi articoli sulle riviste e altre pubblicazioni; abbiamo fatto discorsi pubblici; e c’è anche il nostro website- perciò stiamo avendo un impatto.
Quello che stiamo facendo davvero è cambiare la conversazione. Cambiando -o allargando -la conversazione siamo riusciti a pubblicare la Sfida del 2030.
Se non fossimo riusciti a cambiare la conversazione non avremmo potuto pubblicarla. Invece l’abbiamo pubblicata ed è stata raccolta dal mondo della professione poi dalle città ed è stato assolutamente fondamentale.
Adesso la sta raccogliendo il mondo degli affari. Per esempio, nello stesso momento in cui pubblicavamo la Sfida, il World Business Council for Sustainable Development uscì con un appello per gli edifici carbon neutral nel 2050. Perciò noi chiedemmo all’AIA di aprire un dialogo con loro perché ciò avvenisse invece nel 2030.
Inoltre, fin da allora, feci un discorso a una conferenza organizzata dall’International Council for Local Environmental Initiatives. I membri dell’ICLEI sono 475 città del mondo. E’ una specie di controparte globale della conferenza dei sindaci USA- sebbene molte città degli USA sono anche suoi membri. Alla fine della conferenza, adottarono la Sfida 2030. Adesso stanno lavorando con il Global Board of Directors per discutere l’adozione della Sfida in tutto il mondo.
Ad essere sinceri, la parola adozione non è la parola giusta- hanno incorporato la Sfida nei loro obiettivi.

D: Pensa che la rapidità con cui la Sfida è stata adottata rifletta una specie di imbarazzo per il fallimento del Protocollo di Kyoto?

ED MAZRIA: E’ possibile. E’ anche più accettato adesso che la scienza è risoluta; la gente sta accettando il fatto che il dibattito è essenzialmente chiuso e che adesso dobbiamo passare dal dibattito all’azione. Ma gli scienziati ci hanno dato una opportunità. Abbiamo essenzialmente 10 anni per arrivare ad avere il controllo della situazione. Altrimenti arriveremo al punto finale oltre il quale ci sarà molto poco da fare per influenzare le cose. Perciò c’è un nuovo senso dell’urgenza.
Quello che è mancato fino ad ora sono le specifiche su come attaccare il problema. Molte iniziative sono generali, senza una vera forza dietro che sostenga la riduzione delle emissioni di gas serra di una certa quantità per una certa data. Ma credo che le persone che hanno adottato queste iniziative adesso stiano cercando dei modi per realizzarle, per colpire i propri obiettivi.
La Sfida 2030 ci indica un modo molto specifico di farlo- e credo che questa sia la ragione principale del perché ha fatto presa così rapidamente.

D: Nel frattempo lei ha visto aziende come la Wal-Mart cercare di reinventare se stesse come aziende pro-verde, pro-sostenibilità, perché hanno capito che lì c’è una occasione di profitto. Ha senso per l’ambiente, ma ha anche senso per gli azionisti. Il cambiamento non è necessariamente altruistico.

ED MAZRIA: Credo che stia seguendo la corrente per un certo numero di ragioni. Una ragione è quello che abbiamo appena detto: l’urgenza dell’argomento. Ci sono molte persone là fuori con una coscienza e che pensano al futuro piuttosto che ai loro bisogni immediati. Pensano ai loro figli e ai loro nipoti. Ma credo che lei abbia ragione: credo che un’altra parte sia essenzialmente al servizio di se stessi, che essere verdi possa dare una mano nella competizione. Possa far risparmiare soldi. Possa rafforzare la propria immagine nella comunità, il che significa che i propri affari possono essere manovrati con più facilità e meno vincoli. Il punto è: qualunque sia la motivazione, sta andando nella direzione giusta.

D: Allora, quale ruolo hanno le scuole di architettura e di design in tutto ciò?

ED MAZRIA: L’anno scorso venne fuori un resoconto dell’AIA COTE intitolato Ecologia e Progetto. Era uno studio di oltre un anno fatto da un gruppo di suoi membri. Ogni scuola dovrebbe leggerlo.
A pag. 43: “Scuole e docenti stanno scoprendo e creando nuovi modi di incorporare la sostenibilità nei laboratori e negli altri corsi. Sembra esserci più di quanto non ci fosse 5 o 10 anni fa e gli sforzi sono più grandi più stratificati e più complessi.” Ma quello che più conta è la parte seguente: “Il nostro campione non include un solo esempio in cui i temi abbiano informato una vera trasformazione della sostanza del curriculum. Per quanto promettenti siano molti dei corsi, si deve dire che il progetto sostenibile resta un’attività marginale nelle scuole.”
Ancora peggio:
“Secondo la nostra ricerca, molte delle scuole più accreditate mostrano poco interesse nel progetto sostenibile. Le scuole della Ivy League, non hanno fatto in realtà uno sforzo rilevante per incorporare le strategie ambientali nei loro corsi. Con poche eccezioni – precisamente la California Polytechnic State University- San Luis Obispo, la nostra prima classificata - lo stesso può dirsi di tutti i programmi elencati nella graduatoria del Design Intelligence del 2005 relativa alla classifica delle migliori scuole.” E’ implicito che l’ecologia non è considerata un’agenda del progetto ma, piuttosto, una faccenda etica o tecnica. Se i programmi migliori, gli insegnanti migliori gli studenti migliori non abbracciano l’ecologia come un’ispirazione per un buon progetto, che possibilità ha questo sforzo di trasformare l’industria?
Voglio ritornare adesso alla Cal Poly-San Luis Obispo, la loro “prima classificata”. Questa è la Cal Poly: “L’errore più significativo dei corsi sull’Ambiente Sostenibile è il fatto che sono degli opzionali minori e non parte integrante della sostanza del curriculum. Sebbene le iscrizioni al corso crescano ogni anno, attualmente solo il 20% degli studenti del CAED ne fa parte”.
Adesso senta questa: Il preside Jones, che è nuovo in questa scuola, vede il corso sull’Ambiente Sostenibile –opzionale- come un corso pilota per l’intero Dipartimento: “E’ un obiettivo a lungo termine quello di integrare questo tipo di approccio nel curriculum.” Lungo termine.
Hanno sostanzialmente 10 anni per cambiare i corsi nell’intero settore della costruzione e il programma del progetto ecologico che è primario ha uno sviluppo sostenibile minore .Questa è la scuola eccellente. E per loro è un obiettivo a lungo termine. Questo è il quadro.
La scuola deve trasformarsi- e la debbono trasformare immediatamente. Perciò abbiamo organizzato quello che definiamo Imperativo del 2010. Questo spiegherà a tutte le scuole che cosa crediamo che debba essere fatto oggi, immediatamente - e per completare il processo, che cosa deve essere fatto per il 2010.
Per il 2010 vogliamo una totale alfabetizzazione ecologica nell’educazione dell’architetto.

D: L’Imperativo del 2010 è un seminario sull’emergenza globale di tre settimane. Può dirmi qualcosa di più?

ED MAZRIA: Il seminario avrà luogo il 20 Febbraio dalle 12 alle 15.30. Sarà una trasmissione in diretta dalla Accademia delle Scienze di New York. Ci saranno quattro relatori: Dr. James Hansen della NASA parlerà della scienza , delle implicazioni del riscaldamento globale e dell’urgenza dell’azione. Io parlerò del settore edilizio e di che cosa dobbiamo fare- e perché- e in che modo l’educazione è il punto critico di tutta la questione. Susan Szenasy farà l’introduzione e parlerà delle discipline del progetto. Farà anche da moderatrice del dibattito. E Chris Luebkeman farà un discorso intitolato “Fare è Credere”- che è molto interessante- e parlerà dei progetti di Arup in tutto il mondo. Poi ci saranno domande e risposte –e una discussione generale- con le persone che interverranno in diretta da ogni parte del mondo. Quindi c’è la partecipazione. Avremo anche un pubblico in diretta di circa 300 persone e forse più che parleranno dalle nove scuole di design dell’area new yorchese.

D: Si sono iscritte a partecipare anche università ed istituzioni oltre quelle di New York?

ED MAZRIA: Il seminario è stato sponsorizzato dalla ACSA, dal Comitato per l’Ambiente dell’AIA e dal US Green Building Council e da molte altre scuole. Abbiamo ricevuto fino ad ora circa 15.000 e-mail da persone che comunicano di volersi iscrivere. Ci sono scuole che sospenderanno le lezioni quel giorno e che creeranno una giornata piena di eventi attorno al seminario.
Stiamo avendo risposte da ogni parte. Berkeley, Harvard, Cal-Poly-San Louis Obispo, UW-Milwakee. Ne arrivano da 50 a 100 in un giorno, comprese quelle di professionisti e studi di architettura che faranno partecipare tutti i loro membri.
Vede, si possono fare conferenze a 1000, 500 o 300 persone- ma in questo modo stiamo parlando di decine di migliaia di persone, in un giorno solo. E’ un bel modo di usare la tecnologia per passare la parola.

D: Alcuni dei cambiamenti richiederanno un cambiamento concettuale di gran lunga più importante, credo. State passando da un approccio artistico o storico all’architettura- secondo cui l’architettura è una specie di mezzo espressivo- a un approccio che tratta l’ambiente costruito come qualcosa che ha effetti misurabili scientificamente. Ecologicamente parlando, un progetto può essere letteralmente buono o cattivo, non importa quale sia il suo aspetto o se piace o no al cliente. Pensa che questo sia un argomento possibile ?

ED MAZRIA: Io penso che si possano incorporare sia l’espressione personale che l’estetica nell’alfabetizzazione ecologica. L’alfabetizzazione ecologica dà soltanto un altro strumento con cui progettare. L’Architettura non soltanto è pura scultura; non è soltanto pura funzione; non è soltanto pura rappresentazione- è tutte queste cose. E quindi quello che deve essere aggiunto e integrato al curriculum progettuale è la nozione di alfabetizzazione ecologica. Non si può più progettare senza essere alfabetizzato in questa area- altrimenti si fa più male che bene.

D: Oltre al seminario, come fate a fare arrivare presto questo messaggio nelle scuole e negli studi di progettazione?

ED MAZRIA: Non si deve fare a una scuola alla volta. Le scuole sono troppe. Ci sono centinaia di migliaia di studenti che studiano oggi e non sono alfabetizzati completamente nell’ecologia. Non hanno una visione totale della situazione globale che stiamo affrontando e di quello che deve succedere dopo. E non sono solo gli studenti-nemmeno i loro insegnanti ne sono completamente consapevoli.
Perciò noi proponiamo di farlo in due modi. Uno è un modo immediate, e uno è a breve termine. Quello immediato è ben definito: ci rivolgeremo ad ogni scuola di progettazione del mondo, globalmente, e chiederemo ad ogni insegnante di aggiungere una frase ad ogni problema che viene affrontato nei loro laboratori progettuali. Ecco cosa chiederemo. Non chiederemo di cambiare i corsi- chiederemo di aggiungere una frase.
La frase è la seguente: “Il progetto deve impegnarsi rispetto all’ambiente in modo da ridurre drammaticamente o addirittura eliminare il bisogno di combustibili fossili.”
Questo provocherà una reazione a catena, globalmente, in tutta la popolazione studentesca. Perché quello che gli studenti faranno all’inizio di ogni nuova esercitazione è una ricerca sull’argomento. Poi torneranno in aula con tutte le informazioni che avranno potuto trovare- a proposito, sono disponibili in Internet. Possono aver accesso a queste informazioni molto, molto rapidamente. Poi, porteranno tutti gli altri, compresi i docenti, a procedere velocemente sui vari temi, sulle strategie del progetto, e sulle tecnologie che sono disponibili e su parte del programma progettuale. A cominciare da questo, le università e gli studi professionali diventeranno strumenti per trasformare il progetto. Se si porta avanti il tema della soluzione creativa dei problemi, verranno fuori moltissimi modi di affrontare il problema- come non avremmo mai immaginato. E questa è la bellezza del fare questo cambiamento subito. Successivamente possiamo lavorare a un approccio sistematico, tra il 2007 e il 2010, per portare la vera alfabetizzazione ecologica in tutte le scuole di architettura.

D: Contemporaneamente lei pensa di affrontare i grandi costruttori di abitazioni come i Toll Brothers o KB Home, per indurli ai cambiamenti ambientali su larga scala e subito?

ED MAZRIA: Deve ricordare che noi siamo una piccolissima organizzazione! (ride) Credo però che attorno a questi temi e alla Sfida del 2030 stia prendendo forma un movimento crescente, perciò immagino che ci siano molte altre persone nelle industrie che potranno abbracciare questi cambiamenti. Per esempio c’è un’organizzazione che si chiama ConSol che si indirizza all’industria del mercato di massa delle abitazioni nei termini di cui abbiamo parlato. C’è l’ Urban Land Institute. C’è il Congress for the New Urbanism. Tutti affrontano l’influenza di tali temi sullo sviluppo.

D: Che ne pensa di progettare un prototipo di sviluppo, o un modello di insediamento, che possa servire ad esemplificare la Sfida del 2030?

ED MAZRIA: Insegnare progettando? Credo che stia accadendo. Sul nostro website, abbiamo un’intera sezione sui progetti che cominciano a corrispondere agli obiettivi, e abbiamo già edifici che rientrano in quella categoria, che abbiamo progettato negli anni. Infatti, nel 1980, abbiamo progettato la Biblioteca di Mt.Airy che riduce il consumo di combustibili fossili dell’80% rispetto a un edificio medio dello stesso tipo. Solo attraverso il progetto.
Infatti negli anni ’80, subito dopo la prima crisi energetica, il Dipartimento dell’Energia americano ha comunque sponsorizzato da 12 a 18 architetti in tutto il paese per progettare edifici a bassissimo consumo energetico.
Direi che ciascuno di quegli architetti ha dimostrato che si possono avere riduzioni del 50-80% proprio attraverso il progetto! C’erano moltissimi edifici costruiti alla fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80 che avevano adottato il progetto del solare passivo e i principi dell’illuminazione diurna. Perciò c’è già una grande quantità di informazioni prodotta in quegli anni.
Solo quando il petrolio scese a 10 $ al barile e arrivò l’Amministrazione Reagan e fondamentalmente annientò tutte queste iniziative, cominciammo a contare sul combustibile fossile. Adesso i nostri edifici sono sigillati, non hanno alcuna relazione integrata con l’ambiente. Quando oggi parliamo in architettura di una connessione con l’ambiente, per i 30 o 50 anni passati abbiamo parlato solo di una connessione visiva. Non abbiamo parlato di una connessione reale, integrata e basata sull’energia che si scambiano l’edificio e il suo ambiente. Ed ecco da dove viene il termine sistemi aperti e dove dobbiamo andare.

D: Se proponeste dei progetti concreti per una città carbon neutral per il futuro, però, questa non darebbe alla gente un senso più chiaro di come tutto ciò potrebbe apparire?

ED MAZRIA: Credo che questa sia davvero una buona domanda- perchè avere qualche immagine di quello di cui stiamo parlando è molto importante. Ma il fatto che una sola persona possa arrivare a un progetto o a un’immagine potrebbe fare più male che bene: credo che ci sia bisogno di un’intera gamma di soluzioni estetiche e di idee che prendono forma. Solo le idee e le soluzioni che funzionano potrebbero scuotere gli animi. Credo che legarle soltanto a una immagine visiva non servirebbe.

D: Lei ha anche parlato dell’importanza di un nuovo software per il progetto - software che può modellare, in tempo reale, l’uso dell’energia progettato. Questo aiuterebbe gli architetti a rispettare gli obiettivi delle emissioni. C’è stato qualche progresso su questo fronte?

ED MAZRIA: Ogni qualvolta prendiamo una decisione - ri-orientiamo l’edificio, lo giriamo, aggiungiamo vetri, usiamo un certo tipo di materiale, aggiungiamo dispositivi ombreggianti, riposizioniamo o ri-allineiamo un muro - dobbiamo tenere a portata di mano le implicazioni energetiche di quello che stiamo facendo. Sarebbe semplice, si tratta di due numeri: uno indica se stiamo raggiungendo l’obiettivo del 50% delle riduzioni, o del 60% oppure del 70% - quanto ci siamo vicini. L’altro indica l’energia di fatto incorporata nei materiali e nella costruzione dell’edificio. Se avessimo quei due numeri mentre progettiamo i nostri edifici, allora, intuitivamente, capiremmo qual è il risultato delle nostre azioni.
Questi strumenti sono un elemento critico del progetto, ed è necessario che i maggiori produttori di software - Autodesk e Google- si assumano l’impegno di fornirli tenendo conto dell’emergenza. In Gran Bretagna infatti, il Green Building Studio sta già lavorando con molta cura in quest’area. Gli studenti possono inviare i loro progetti e ricevere un’analisi, credo in quindici minuti- gratis. Ma le compagnie che ci forniscono questi strumenti hanno veramente bisogno di aggiornarsi. Il Governo federale può aiutare, o gli stati più grandi che hanno risorse finanziarie, mettendo qualche dollaro nella ricerca e nello sviluppo in modo da poter avere questi strumenti immediatamente.

D:Potrebbe lanciare una specie di Software Challenge per far smuovere le cose?

ED MAZRIA: Potrei. Credo di si. Poiché l’AIA ha adottato la Sfida del 2030, adesso vedrete che il governo federale e gli stati maggiori- e le città e le compagnie- non resteranno indietro. L’adozione della Sfida 2030 è stata fondamentale nel creare più movimento in quest’area. Penso che man mano che un numero sempre maggiore di città adotta la Sfida e queste vogliono capire come possono attuarla, richiederanno certi tipi di software e le compagnie che li producono diventeranno competitive.
Proprio adesso stiamo avviando il processo di creazione di un enorme mercato per questi strumenti.

D: Prima lei ha menzionato i sindaci. Quale è stata la sua esperienza con altri leader politici ai vari livelli dell’amministrazione?

ED MAZRIA: E’ stata veramente buona- i sindaci sono molto interessati e motivati. Sono stato a Washington proprio ieri a parlare ai Senatori e ai membri del Congresso a proposito del supporto federale. Questo vorrebbe dire che gli edifici federali aprirebbero la strada - perché il governo federale costruisce molti edifici - probabilmente il 3% del totale- e noi stiamo chiedendo che tutti gli edifici costruiti con i fondi federali raggiungano gli obiettivi della Sfida.
Stiamo anche chiedendo incentivi che aiutino a raggiungere gli obiettivi, affinché chiunque si svegli e si affretti. In qualche caso sono coinvolti i costi, perciò, se si offrono degli incentivi si può accelerare l’adozione della Sfida 2030- quindi, prima si ottengono gli incentivi , tanto più rapidamente si andrà avanti. Adesso c’è un interesse crescente al Campidoglio a proposito delle cose che abbiamo detto.

D: E’ a causa delle elezioni dello scorso novembre?

ED MAZRIA: Si. Non ci resta molto tempo. Dobbiamo lavorare davvero il più possibile proprio adesso. Abbiamo bisogno che tutti- veramente tutti - spingano nella stessa direzione, senza scoraggiarsi. Voi potete far accadere le cose. Ognuno ha un ruolo nel far accadere le cose. Non lo sosterrò mai con la dovuta enfasi: abbiamo bisogno di ciascuno. E’ la gente che risponderà che le farà accadere- ecco chi stiamo cercando di raggiungere.
Si può fare. Abbiamo capito abbastanza, sappiamo che cosa dobbiamo fare. Dobbiamo solo farlo adesso. Sappiamo esattamente dove dobbiamo essere; sappiamo cosa sono le riduzioni; sappiamo come ottenerle; sappiamo a chi chiedere gli incentivi- dobbiamo solo far accadere le cose.
Il tempo dei piccoli cambiamenti incrementali è passato: questa non è un’azione dall’alto verso il basso; sarebbe troppo lenta. Questo cambiamento deve venire dalle università, dalle industrie e dall’intero spettro politico.

testo originale in inglese

 
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