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            “DE 
              ARCHITECTURA”:  I FONDAMENTI DI UNA DISCIPLINAdi Franca Bossalino 
            Se nel XX secolo il ‘De Architectura’ 
              di Vitruvio è stato un campo fecondo in cui raccogliere e 
              seminare solo per gli archeologi, i linguisti e gli storici, nel 
              XXI secolo potrà esserlo anche per le nuove generazioni di 
              architetti che dovranno coltivare, innanzi tutto, l’intelligenza 
              del mondo che li circonda, dovranno avere il senso dell’unità 
              di tutte le cose, comprendere la loro ‘implicazione’ 
              nella totalità di cui sono parte, connettere tutti gli aspetti, 
              sviluppare attitudini e abilità nuove necessarie per essere 
              in grado di affrontare le grandi sfide ecologiche del nostro tempo. 
              E’ proprio su questo sfondo che il De Architectura riemerge 
              come sorgente di ispirazione per una nuova architettura: “ecologicamente 
              orientata, più sensibile al luogo che alla realizzazione 
              di un pensiero astratto, più legata alla vita quotidiana 
              che all’oggetto razionale del suo studio: un’Architettura 
              la cui finalità è ‘abitare’ la terra” 
              (Ivano Spano) 
              Gli architetti debbono leggere il ‘De Architectura’ 
              per ri-cominciare ad amare la terra e comprendere il senso profondo 
              della loro arte. Come afferma il biologo e storico della scienza 
              Stephen Jay Gould: "Non possiamo vincere 
              la battaglia per salvare le specie e gli ambienti senza costruire 
              un legame emozionale tra noi stessi e la natura, perché non 
              combatteremo per salvare quello che non amiamo"  
               
              I fondamenti dell’Architettura 
              Il Libro I si apre con un lungo discorso dedicato 
              all’educazione dell’architetto, di cui ricorderò 
              alcuni dei passaggi più significativi. 
            Scrive Vitruvio: <Nella 
              scienza dell’architetto confluiscono più discipline 
              e varie cognizioni… nasce dalla pratica e dalla teoria… 
              Gli architetti che si sono sforzati di conseguire l’abilità 
              pratica senza possedere un’educazione teorica, non sono riusciti 
              ad ottenere un riconoscimento all’altezza delle loro fatiche; 
              quelli che, invece, si sono affidati alla sola teoria e ai libri 
              mi sembra che abbiano realizzato non la cosa ma la sua ombra… 
              …[L’architetto] dovrà avere talento ed essere 
              docile alla disciplina, infatti, né il talento senza disciplina 
              può generare il perfetto artefice né la disciplina 
              senza talento. E così come sarà versato nelle lettere, 
              esperto nel disegno, erudito nella geometria, allo stesso modo conoscerà 
              la storia, ascolterà attentamente i filosofi, saprà 
              di musica, non ignorerà la medicina, avrà nozioni 
              di giurisprudenza, conoscerà l’astrologia e leggi del 
              cielo. …Poiché questo studio è così vasto, 
              abbellito e arricchito da molteplici e diversi insegnamenti, penso 
              che non possano a pieno diritto professarsi architetti se non quelli 
              che hanno raggiunto la sommità del tempio dell’architettura 
              salendo, fin da giovani, i gradini costituiti da queste discipline, 
              nutrendosi dalla conoscenza di molte scienze e arti… …tutte 
              le discipline sono collegate e comunicano fra loro; il sapere, infatti, 
              si compone di molte conoscenze, come un unico corpo delle sue parti.> 
               
              Dobbiamo ammettere che non sono questi i fondamenti dell’educazione 
              dell’architetto moderno, che vanno ricercati, invece, in un’altra 
              civiltà, in un altro pensiero, in un’altra visione 
              del mondo: quella che ha dominato la cultura e la storia dell’Occidente 
              negli ultimi quattro secoli e che ha separato e contrapposto l’uomo 
              alla natura, la mente al corpo, lo spirito alla materia. 
              La visione di Vitruvio è al contrario, olistica- una visione 
              in cui individuo e ambiente sono considerati come parte di uno stesso 
              grande disegno universale; in cui ‘tutto è uno’, 
              tutto è connesso; in cui l’uomo e l’ambiente 
              interagiscono e si influenzano reciprocamente; in cui ritmi, energie, 
              forze e tendenze sono comuni all’individuo quanto a tutto 
              ciò che lo circonda. Una visione del mondo che non abbiamo 
              conosciuto finché non è ri-emersa, grazie alla scienza, 
              alle soglie del XXI secolo. 
               
              Continua Vitruvio: <Architectura constat 
              ex ordinatione, dispositione et distributione> 
               
              - l’Architettura consiste nel mettere ordine nelle 
              grandezze, cioè nello stabilirne la giusta misura 
              -secondo le esigenze- a partire dalla scelta di un modulo 
              -quantitas- al fine di ottenere una corrispondenza -symmetria- 
              fra la dimensione della parte e quella dell’insieme. Vitruvio 
              riprende più volte nel corso del trattato il tema del modulo 
              e della simmetria affermando che il modulo non è una misura 
              astratta rispetto alla cosa che si vuole costruire, ma è 
              la misura di una parte significativa di quella.  
              Quindi il modulo e di conseguenza la proporzione non sono semplicemente 
              numeri e rapporti, ma esprimono anche un significato della cosa, 
              tanto è vero che ciascuna opera ha la propria symmetria. 
               
              Questa è un’affermazione molto importante, perché 
              vuol dire che nella particolare relazione dimensionale c’è 
              anche il significato della appropriatezza delle misure rispetto 
              alla destinazione. Il modulo, secondo Vitruvio, dunque, è 
              ben diverso dalla misura astratta di un pannello prefabbricato con 
              cui si dimensiona oggi qualunque edificio, dalla scuola, alla fabbrica, 
              all’ospedale, alla casa; è una misura che per avere 
              a che fare con la destinazione dell’opera, contribuisce alla 
              costruzione della sua identità.  
              Nei libri successivi, in più di una occasione ritornerà 
              sull’argomento, ribadendo che la misura in Architettura è 
              relativa: <le dimensioni delle colonne 
              nei porticati destinati al passeggio e in quelli degli edifici sacri, 
              sono diverse, maestose nei primi, esili negli altri> e 
              che non basta ordinare le misure una dopo l’altra ma è 
              necessario che tra loro ci sia una relazione, affinché non 
              vi sia <nulla di superfluo> 
              e questo è il significato della proporzione.  
              E affermerà anche che l’architetto deve progettare 
              tenendo conto della natura del sito, degli usi, dell’aspetto 
              formale, e correggere la symmetria, 
              se necessario, non affidandosi completamente a quello che vedono 
              gli occhi, che spesso ingannano la mente e non le consentono di 
              cogliere la verità, perché:  
              <una cosa è diversa se si guarda da vicino, o dal basso 
              verso l’alto; e una cosa non è la stessa se si guarda 
              in un luogo chiuso o in un luogo aperto.> 
              Questo è un tema cruciale del progetto di Architettura la 
              cui finalità - sembra dire Vitruvio- non è soltanto 
              la rappresentazione di una idea di spazio astratto, geometrico, 
              da guardare dall’unico punto di vista del progettista, ma 
              di uno spazio concreto che di fatto si apprezza dalle molteplici 
              posizioni del corpo che si muove facendo esperienza di una totalità: 
              delle forme, dei materiali, dell’aria e della luce, dell’ambiente 
              concreto che la circonda e con cui interagisce.  
               
              - L’Architettura consiste nel dis-ponere, 
              cioè nel porre in modo distinto le parti, nel collocarle 
              nello spazio fisico in modo che ciascuna stia al posto giusto, per 
              sé e nella relazione con le altre, in vista del risultato 
              generale, dell’idea cioè che si intende concretizzare 
              in una forma. Questo in particolare è il lavoro che l’architetto 
              fa al tavolo da disegno, attraverso l’ichnographia, 
              l’orthographia e la scenographia. 
              Dall’accordo tra la posizione dei singoli elementi in quanto 
              parte di una totalità, deriva l’eurythmia 
              dell’opera, alla quale concorre però anche la symmetria. 
              Vitruvio dice esplicitamente: <uti in 
              hominis corpore… symmetros est eurythmiae qualitas, sic est 
              in operum perfectionibus>.  
              Daniel Barbaro, eccellente commentatore di Vitruvio, per spiegare 
              l’eurythmia fa ricorso ad altre due metafore, oltre quella 
              del corpo: la metafora della cetra, e quella del coro: <Come 
              le parti del corpo o le corde della cetra o le voci del coro, così 
              gli elementi di un’opera, debbono accordare l’espressione 
              della propria individualità, al fine di conseguire l’individualità 
              dell’insieme.> 
               
              -L’Architettura consiste nel dis-tribuere, 
              cioè nell’attribuire in modo distinto le risorse e 
              lo spazio, nel ripartire in modo equilibrato i costi e nel rispondere 
              alle esigenze del committente e del fruitore. E’ necessario 
              che l’architetto conosca il sito, conosca i materiali e tenga 
              conto delle richieste specifiche che la cosa costruita dovrà 
              soddisfare. Questo è il fondamento dell’economia del 
              progetto.  
              L’Architettura esplica, dunque, la sua natura in un continuo 
              ciclico rincorrersi delle tre azioni del processo appena descritto: 
              un processo instabile, non sequenziale, in cui ciascuna non è 
              mai veramente compiuta in sé e in cui si riflettono anche 
              le altre. Lo stesso si può dire rispetto alle qualità 
              dell’opera in cui è difficile stabilire i confini tra 
              symmetria, eurythmia 
              e decor. 
              Nel decor, in particolare, confluiranno 
              la scelta del sito e della forma secondo la destinazione dell’opera 
              (statio), la tradizione del costruire 
              (consuetudo) e la natura del luogo: 
              in tal modo l’opera manifesterà l’accordo tra 
              l’uomo e la natura. 
               
              -La scelta del sito è un tema che ha molto 
              spazio nel De Architectura. Vitruvio ne parla ampiamente alla fine 
              del primo libro quando descrive dove fondare una città. Il 
              sito non è uno spazio tecnico, economico o geometrico, è 
              molto più di questo. E’, innanzi tutto, relazione tra 
              la Terra e il Cielo, ciascuno distinto da proprietà 
              e carattere che determinano le peculiarità 
              non solo del clima ma di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi. 
              Vitruvio lo descrive come esperienza di umori, sapori, odori, suoni; 
              dell’incontro tra le forze della natura e il combinarsi degli 
              elementi e dei loro effetti sulla materia, sul corpo degli uomini, 
              degli animali, dei materiali, ma anche sull’acqua, a cui dedica 
              un intero libro - il libro VIII - in cui descrive 
              l’esperienza della ricerca dell’acqua, che quando sgorga 
              in superficie porta gli odori, i sapori, e le proprietà - 
              benefiche e non - dei terreni che ha attraversato; e nel libro 
              IX, infine, ci fa provare l’emozione del vagare senza 
              peso nel complesso ordine del Cielo, nel regno della luce governato 
              dalla parabola del Sole, che manda sulla Terra il giorno e la notte 
              e l’alternarsi delle stagioni. Quando l’uomo costruisce 
              ri-presenta l’esperienza di una totalità significativa 
              in cui ogni aspetto si dissolve nell’altro, pur rimanendo 
              riconoscibile - ciascuno - in ciò che gli è proprio. 
               
              Il pensiero di Vitruvio- che oggi è più 
              facile comprendere sullo sfondo dell’emergenza 
              planetaria - non poteva essere compreso durante i secoli 
              della storia dominati dalla ragione, dalla visione meccanicistica 
              del mondo e dal pensiero analitico positivista che ha finito col 
              dividere la realtà in domini separati pretendendo in tal 
              modo di conoscerla tutta e governarla. 
              Il primo a non comprendere completamente il suo pensiero fu l’architetto 
              Palladio, che dopo aver letto la prima traduzione 
              italiana dei Dieci Libri fatta da un autorevole 
              umanista, Daniel Barbaro (suo cliente) scrisse, a sua volta, i ‘Quattro 
              Libri dell’Architettura’, attingendo a piene mani nell’opera 
              dell’antico predecessore, tuttavia compiendo le prime due 
              operazioni moderne che hanno di fatto profondamente mutilato il 
              testo di Vitruvio; ed è proprio questo che ha fatto nascere 
              in me il desiderio di intraprendere l’avventura di una nuova 
              traduzione.  
              La prima: Vitruvio dice senza alcuna ambiguità: <Partes 
              Architecturae ipsius sunt tres, gnomonica, aedificatio et machinatio.> 
              Le parti proprie dell’Architettura sono tre: la costruzione 
              delle meridiane, la costruzione degli edifici, la costruzione delle 
              macchine. L’ Architettura, cioè, non sono solamente 
              gli edifici ma una più ampia scala di cose che ha, ad un’estremità, 
              la stabilità e materialità della terra e la mutevolezza 
              e l’immaterialità del cielo, all’altra, la tecnologia, 
              e nel mezzo gli edifici che derivano le loro qualità dalle 
              peculiarità dei due estremi estendendosi fino a comprenderli 
              entrambi.  
              Palladio, non solo non cita l’importante affermazione ma si 
              concentra sugli edifici separando la parte dal tutto e in questo 
              modo cambierà il destino dell’Architettura occidentale 
              per i successivi quattro secoli, durante i quali con i suoi libri 
              e la sua opera diffonderà nel mondo un’idea di Architettura 
              privata delle altre sue parti. Da quel momento l’Architettura 
              sarà solo la costruzione di edifici. 
              La seconda operazione consiste nell’aver alterato- sostituendo 
              alla firmitas la perpetuitas- 
              il testo in cui Vitruvio pronuncia la famosa triade, e nell’averla 
              privata del suo contesto e della ratio. Il contesto <Haec 
              autem ita fieri debent ut habeatur ratio firmitatis, utilitatis,venustatis> 
              era quello dell’identificazione dei caratteri della costruzione 
              degli edifici all’interno dell’ unità inseparabile 
              dell’Architettura: il radicamento della costruzione, il suo 
              poggiare sul terreno solido e il suo restare in un preciso posto, 
              l’ essere costruita con materiali scelti con cura e senza 
              avarizia; il suo essere utile allo scopo rispondendo ai bisogni; 
              il suo essere bella, cioè possedere la qualità a cui 
              concorrono l’accordo delle forme, delle dimensioni e dell’uso, 
              cioè tutto quello che di un edificio è apprezzabile 
              con i sensi. L’architetto viene meno alla specificità 
              del suo compito se non tiene conto della ratio della stabilità 
              dell’utilità e della bellezza, cioè delle ‘ragioni’ 
              che definiscono l’insieme delle condizioni che configurano 
              la realtà concreta in cui nasce la domanda di edificio.  
               
              Da quando ho tradotto i Dieci Libri di Vitruvio mi sono personalmente 
              impegnata in una campagna di alfabetizzazione ecologica 
              degli studenti di Architettura per i quali l’imperativo 
              a breve termine è stato quello di leggere i Dieci Libri di 
              Vitruvio per sviluppare una nuova (ma anche tanto antica) attitudine 
              a considerare l’Architettura come 
              un’unità inscindibile di uomo e natura, e il 
              progetto come un processo in cui l’abilità pratica 
              e la teoria nutrendosi reciprocamente, ri-presentano -nello spazio 
              dell’abitare umano- l’unità fondamentale di mente 
              e corpo, di spirito e materia.  
               
              Franca Bossalino, Roma 2007 
             
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