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            Proposta di pace 2009 
              Verso la competizione umanitaria: una nuova corrente nella storia.   
               di Daisaku  IKEDA 
              (estratto)
             
            La crisi finanziaria iniziata con il crollo dei mutui  statunitensi subprime e con la bancarotta della banca di investimenti  Lehman Brothers ha colpito i mercati di tutto il mondo, con conseguenze così  gravi che gli esperti parlano di «un evento che si verifica una sola volta in  un secolo». 
Il dissesto  finanziario di questi ultimi mesi è stato paragonato alla drammatica crisi economica  che negli anni Trenta sconvolse il mondo e preparò il terreno allo scoppio del secondo  conflitto mondiale. Per quanto i leader politici si stiano impegnando per trovare  risposte efficaci, la crisi del sistema finanziario sta mettendo in ginocchio l'economia  reale, provocando un aumento della disoccupazione e rendendo sempre più concreti  i rischi di una recessione mondiale.  
Se si considera che  gli effetti della grande depressione si manifestarono in tutta la loro gravità  soltanto a distanza di due anni dal crollo delle borse del 1929, ci si rende  sempre più conto di quanto sia difficile la situazione in questo momento. 
Le persone hanno il  diritto di vivere in pace e nel rispetto della dignità umana, e lavorano ogni  giorno con impegno per questo scopo. È inaccettabile che le basi del nostro  sostentamento vengano spazzate via dagli effetti di uno tsunami che  nessuno di noi poteva prevedere e che ha avuto origine in una sfera al di fuori  del nostro controllo. 
Mi auguro che per  scongiurare ulteriori aggravamenti della crisi i governi rafforzino i meccanismi  di coordinamento in materia di politica fiscale e monetaria, riuniscano le proprie  conoscenze e prendano misure tempestive e adeguate.[…] 
            […]L'avidità sfrenata che caratterizza il  capitalismo di oggi è stata ampiamente documentata. Come ho avuto modo di  sottolineare in altre occasioni, la crisi affonda le sue radici nel culto insano per il denaro, il segno  astratto e immateriale della ricchezza. A mio avviso questa ossessione per il denaro è la patologia fondamentale che  affligge la civiltà contemporanea. In senso figurato potremmo dire che,  finita la guerra fredda, le speranze di un mondo libero dalle ideologie siano  scomparse nel ventre insaziabile e beffardo dell'onnipotente Mammona (figura  biblica che rappresenta la ricchezza materiale idolatrata, n.d.r.). 
              Di per sé la valuta -  cioè le montagne di carta straccia, i pezzi di metallo e, più recentemente, i  sofisticati bit informatici che  governano le economie di mercato – non ha alcun valore d'uso ma solo un valore  di scambio puramente convenzionale e frutto di accordi. La valuta, nella sua  essenza, è astratta e anonima. I mercati  finanziari l'hanno privata di qualunque connessione significativa con beni e  servizi concreti e definiti, facendola diventare un oggetto del desiderio  senza limiti intrinseci e reali. Da ciò nasce a mio avviso la particolarità del  culto patologico per il denaro. 
            La ricerca incessante  dell'efficienza per aumentare i profitti e l'instabilità della valuta sono gli  elementi che descrivono al meglio lo stato attuale delle economie di mercato, il  cui sviluppo è stato affidato alle attività economiche di singoli individui non  sottoposti ad alcun vincolo. È a questo proposito che l'economista Katsuhito Iwai ha richiamato  l'attenzione sulla «fondamentale  incompatibilità» fra efficienza e instabilità, che caratterizza  non solo i mercati finanziari ma anche le economie di mercato in generale.             
             […] Lo spirito di  astrazione 
                          Poco dopo la fine  della seconda guerra mondiale il filosofo francese Gabriel Marcel ha pubblicato un saggio intitolato Lo spirito di  astrazione, un fattore di guerra, che ha il merito di  offrire interessanti spunti di riflessione. Secondo Marcel la capacità di  sviluppare e manipolare concetti astratti è indispensabile per l'attività intellettuale  degli esseri umani, tuttavia le  astrazioni che ne derivano sono in  realtà prive di sostanza. Anche  l'idea di "essere umano" deve essere considerata il frutto di un'astrazione. Nella realtà invece siamo tutti uomini e donne, giapponesi o americani, vecchi e giovani, e  proveniamo ciascuno da un luogo particolare.  
              Osservando gli altri con  più attenzione possiamo riconoscere le caratteristiche uniche di ciascun individuo.  Sviluppando quest'attitudine rimaniamo ancorati alla realtà concreta, mentre qualunque discussione sull'"essere  umano" o sull'"umanità" che non tiene conto delle differenze  genera concetti astratti che acquistano vita propria e sono avulsi dalla  realtà. 
              Marcel utilizza il  termine "spirito di astrazione" per indicare il meccanismo fondamentalmente  distruttivo che spinge gli esseri umani a concepire e a rappresentare le cose  senza tener conto della realtà concreta.  
              Secondo il suo  pensiero, per esempio, si può fare la guerra solo se prima si nega il carattere  umano dell'avversario e lo si riduce a un concetto astratto, come il fascista,  il comunista, il sionista, il fondamentalista islamico... Scrive Marcel: «Nel momento in cui qualcuno [...] richiede il mio impegno a compiere  un'azione bellicosa contro altri esseri umani (che in conseguenza del mio  impegno dovrei anche essere pronto ad annientare), chi sta esercitando un'influenza su di me riterrà  assolutamente necessario che io neghi la realtà individuale dell'essere umano  che devo distruggere. Per trasformarlo in un mero bersaglio impersonale è  assolutamente necessario che io lo riduca a un'astrazione». 
              Senza questo tipo di  riduzione sarebbe impossibile giustificare o trovare un senso nella  partecipazione alla guerra. 
              In altre parole lo spirito di astrazione non è mai  neutro. Marcel osserva che esso non è mai separato dalla natura passionale del rifiuto e del  risentimento (ressentiment) che genera tale sprezzante riduzione. Non appena le persone  vengono trasformate in concetti astratti possono essere considerate senza  valore, inferiori e addirittura pericolose, tanto da poter essere distrutte.  Non esistono più come persone nella pienezza della loro umanità. 
              Marcel afferma: «Lo  spirito di astrazione appartiene essenzialmente all'ordine delle passioni e  [...] d'altra parte è la passione e non l'intelligenza a creare le astrazioni  più pericolose».  Per tutte  queste ragioni egli considerava la propria attività filosofica              «una battaglia ostinata e instancabile contro lo spirito  di astrazione». 
              Tornando alla crisi  finanziaria attuale, dobbiamo chiederci se la nostra società non sia rimasta  imprigionata in questo spirito di astrazione. Siamo forse vittime delle lusinghe  del mondo astratto e anonimo del denaro che, come in un incantesimo di Medusa,  ci ha fatto smarrire la capacità genuinamente umana di comprendere che il denaro,  sebbene sia necessario per il funzionamento della società, altro non è che una convenzione,  una sorta di realtà virtuale? 
              L'amore per il denaro  va oltre il desiderio per ciò che è meramente materiale. Esso ci intrappola e  ci ammalia, spingendoci a compiere azioni che normalmente non faremmo. Se per  esempio un'azienda viene meno alle sue responsabilità verso la collettività e  persegue unicamente gli interessi dei suoi azionisti (la loro ricerca immediata  di profitti) è evidente che metterà in secondo piano i legami concreti con il mondo  reale e con gli individui, siano essi dirigenti, impiegati, clienti o  consumatori. 
              In tutto il mondo si  odono le voci piene di rimorso di titolari di aziende che, pur
              essendo imprenditori  coscienziosi, si sono sentiti costretti dalle logiche del mercato a giocare  tale ruolo ripugnante. 
              In verità la  globalizzazione incentrata sulla finanza ha prodotto un gran numero di persone  di questo tipo. Irretiti come siamo dallo spirito di astrazione, abbiamo dimenticato  che la nostra vera umanità esiste soltanto nella totalità degli aspetti che compongono  la persona umana. In misura maggiore o minore siamo diventati tutti esempi di homo  economicus, incapaci di riconoscere altri valori oltre il denaro. 
              Ovunque nel mondo le  persone avvertono un senso claustrofobico di impotenza che cresce in misura  direttamente proporzionale alla velocità con cui avanza la globalizzazione. A  mio modo di vedere questo è il prezzo  che paghiamo per colpa dell'arroganza e dell'egoismo di quanti perseguono  ciecamente il profitto coltivando l'illusione che la società umana possa  continuare a esistere anche quando l'ambiente naturale e la cultura vengono  sistematicamente distrutti. 
              Ignoriamo a nostro  rischio e pericolo le parole senza tempo di Jose Ortega y Gasset (1883-1955) che mettono in luce il legame  indissolubile che esiste fra noi e ciò che ci circonda: «Io sono me stesso più il mio ambiente. Se io non lo salvo, non posso  salvare neanche me stesso». 
              L'homo economicus è  il prodotto di una tendenza intrinseca al capitalismo. Più è pura la forma di  capitalismo che viene predicata, più veniamo costretti - nelle nostre differenti  vesti di azionisti, dirigenti, clienti e consumatori - a seguire questa direzione.  Se ci si sottrae a questo meccanismo si finisce, almeno a breve termine, per subire  una perdita. 
              Robert B. Reich, Segretario di Stato al lavoro durante  l'amministrazione Clinton, da tempo mette in guardia contro le insidie della "nuova economia".  In un suo recente saggio Reich condensa i molteplici aspetti della nostra  personalità da un lato nel ruolo di investitori e consumatori e dall'altro nel  ruolo di cittadini. 
  «La scomoda verità - sostiene Reich - è che siamo in disaccordo con noi stessi: come consumatori e  investitori puntiamo a fare grandi affari, come cittadini disapproviamo le  conseguenze sociali che ne derivano». 
  La sfida decisiva consiste nel trovare un punto di  equilibrio e recuperare la nostra umanità nella sua completezza. E tuttavia nell'era  del supercapitalismo «i consumatori e gli  investitori acquistano potere a scapito dei cittadini». Gli interessi del  capitalismo hanno la precedenza su quelli della democrazia. La preponderanza  degli interessi economici ha accentuato gli aspetti negativi del capitalismo  come la disparità di reddito,  l'instabilità del mercato del lavoro e la distruzione dell'ambiente.  
            E la lista potrebbe  continuare. La crisi finanziaria ed economica  in atto ha messo seriamente in dubbio quell'aspetto del capitalismo che            generalmente tutti  considerano positivo: la sua capacità di creare ricchezza. Come dimostrano i  recenti avvenimenti, la ricchezza  prodotta si è dimostrata spesso un'illusione.[…] 
            […]Chi ricopre  responsabilità politiche dovrebbe avere uno sguardo ampio e imparziale e  utilizzare le proprie capacità per realizzare il bene più grande possibile. È importante  prendere misure rapide e coraggiose, come il sostegno fiscale e finanziario e  il rafforzamento delle reti di sicurezza sociale, per dare una risposta al  drammatico crollo della produttività delle aziende e al conseguente aumento  della disoccupazione. 
              Occorre dedicare una  particolare attenzione al problema della  povertà, che ha raggiunto dimensioni planetarie e rischia di privare  milioni di persone del loro diritto a un lavoro dignitoso e significativo.  
              Il lavoro è un'attività  umana fondamentale da cui gli individui traggono la motivazione e la speranza  per realizzare pienamente se stessi e contribuire al benessere della società.  Dobbiamo impegnarci al massimo per risolvere questo problema. 
            Al tempo stesso non  dobbiamo dimenticare la lezione degli anni Trenta, quando il controllo  eccessivo sull'economia da parte dello stato si intrecciò alla nascita del fascismo.  Riguardo a questo punto credo che dovremmo prendere sul serio il monito di Marcel contro i pericoli dello spirito di  astrazione. 
            Vincenti e perdenti             
              Per descrivere gli  effetti negativi della globalizzazione, in Giappone sono usate comunemente  espressioni come "la società stratificata" (kakusa shakai),  "la squadra dei vincenti" (kachigumi) e "la squadra dei  perdenti" (makegumi). 
              Dobbiamo stare in  guardia contro questa tendenza a usare un linguaggio che, mettendo nello stesso  calderone fenomeni differenti, non fa altro che oscurare la realtà concreta e  denigrare gli sforzi delle singole persone. Questa terminologia non ha nulla a che vedere con la realtà quotidiana di quanti si sforzano per superare gli ostacoli che inevitabilmente sorgono nel  difficile contesto economico-sociale del nostro tempo. 
              Né la vittoria né la  sconfitta sono condizioni permanenti. Etichettare le persone come "vincenti"  o "perdenti", come si fa oggi in Giappone, significa usare un metro  di giudizio basato sulla supremazia economica. Queste classificazioni non tengono minimamente conto della persona  umana nella sua totalità. 
              La società è piena di  esempi di persone dotate di un solido autocontrollo che, senza lasciarsi  influenzare dalle lodi o dalle critiche altrui, non si esaltano per i loro successi  né si abbattono di fronte alle sconfitte. Se si ricorre sempre più spesso a espressioni  che pretendono di riassumere fatti complessi in una singola frase vuol dire che  è in atto il tentativo di denigrare il  valore e la dignità dei singoli esseri umani e di sminuire i loro sforzi  nell'affrontare le sfide con coraggio e ingegnosità. 
              Per dirla con Marcel, dobbiamo stare attenti a non  diventare «persone dallo spirito debole» che interpretano gli eventi esterni  come una sorta di «giudizio universale in miniatura», leggendo in essi  messaggi di redenzione o di apocalisse.  
              Questo significherebbe  un allontanamento dall'umanità, una rinuncia all'autonomia che può aprire un  varco alla violenza. In un sistema in cui prevalgono l'economia e il denaro, e  i valori umani sono misurati unicamente sulla base  del reddito e della ricchezza materiale, è impossibile provare soddisfazione e  sentirsi adeguati. 
  A metà degli anni Novanta il giornalista  Robert Samuelson richiamò l'attenzione sul senso di insoddisfazione che  cominciava a serpeggiare nella società americana, anche nel momento di massima  espansione economica. Il senso costante di insoddisfazione e  invidia crea una società in cui le passioni negative agiscono come una forza che blocca il  rinnovamento.             
            Gli eccessi  dell'ideologia 
              […] Ottanta anni fa,  in piena depressione economica, il socialismo - e addirittura il comunismo e il  nazionalsocialismo - offrivano la loro alternativa al capitalismo. Oggi dobbiamo  constatare che non c'è traccia di un nuovo paradigma. Jacques Attali, importante consigliere del presidente francese  Nicolas Sarkozy, offre la seguente analisi: «La situazione è semplice: le forze del mercato controllano il pianeta.  Ultima espressione del trionfo dell'individualismo, questo mercato trionfante del  denaro spiega il grosso dei più recenti sussulti della storia». In altre parole, l'universalità astratta del denaro e  l'universalità astratta dell'individuo in  quanto forza lavoro sono le due facce della stessa medaglia. 
              Nella misura in cui i  principi universali della libertà e dei diritti umani sono stati
            elaborati nell'alveo  di questo individualismo, c'è una sostanziale sovrapposizione fra capitalismo e  democrazia moderna. Perciò, la crisi attuale è in effetti una crisi del sistema  sociale occidentale moderno (che ha al centro il capitalismo e la democrazia) […] 
            […] Affinché le  misure istituzionali e giuridiche predisposte per porre un freno agli eccessi  del capitalismo non siano solo rimedi estemporanei, ma facciano invece parte di  una visione di ampio respiro, è  indispensabile trovare un nuovo modo di pensare, un nuovo paradigma capace di  penetrare fino alle fondamenta profonde della civiltà umana. 
            Diventa sempre più  urgente scoprire prospettive e principi universali alternativi, evitando di  cadere nell'errore storico dell'internazionalismo proletario. Dobbiamo  elaborare una macroprospettiva e lavorare per disegnare un nuovo spirito dell'epoca. Nel bene e nel male i  processi di globalizzazione hanno raggiunto un livello tale che la risposta a  questa sfida epocale è diventata ineludibile. In questo senso le parole di Max Weber (1864-1920) sono illuminanti:  «Sono gli interessi (materiali e  ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l'agire umano. Ma le "concezioni  del mondo", create dalle "idee", hanno spesso determinato - come  chi aziona uno scambio ferroviario - i binari lungo i quali  la dinamica degli interessi ha mosso tale attività».             
            Competizione  umanitaria 
              Vorrei prendere qui  in esame alcune idee esposte da Tsunesaburo  Makiguchi (1871- 1944), presidente fondatore della Soka Gakkai, nella sua  opera La geografia della vita umana scritta nel 1903, che penso  possano rappresentare il nuovo paradigma capace di condurci fuori da questo vicolo cieco. Mi riferisco in  particolare alle possibilità che offre il concetto di "competizione  umanitaria". 
              Nei capitoli  conclusivi di quest'opera, pubblicata quando aveva solo trentadue anni, Makiguchi  esamina il grande flusso della storia umana e identifica le forme di competizione  prevalenti nelle diverse epoche storiche: quella militare, quella politica e  quella economica. Non si tratta di demarcazioni storiche chiare e distinte. Per  esempio, la competizione economica ha implicazioni militari, ed è vero anche il  contrario. In altre parole, ledifferenti forme di competizione si sovrappongono e  s'intrecciano in un processo di graduale trasformazione. Seguendo questo percorso con  attenzione e coraggio, diverrà chiara la traiettoria dello sviluppo  dell'umanità. 
              Makiguchi concluse la  sua analisi esortando il mondo a impegnarsi in quella che definiva  "competizione umanitaria". Non giunse a questa conclusione da una prospettiva  sovrastorica, ma dopo aver delineato la logica interna dello sviluppo storico.  Ecco come descrive la competizione  umanitaria: «Raggiungere gli  obiettivi non tramite la forza militare o politica ma grazie al potere  intangibile che esercita naturalmente un'influenza morale. In altre parole  essere rispettati piuttosto che temuti». 
              Queste parole mi  fanno venire in mente il concetto di "potere morbido" elaborato da
              Joseph Nye della Harvard University, che ho avuto il privilegio di  incontrare in diverse occasioni: «Il  potere morbido conduce agli effetti desiderati grazie alla forza di attrazione,  e non tramite coercizione o corruzione». 
              Trovo che ci sia  un'analoga concordanza fra il concetto di win-win world [mondo di soli  vincitori, n.d.r.] elaborato dalla futurologa americana Hazel Henderson e la visione di  Makiguchi che emerge da questo brano: «La  cosa importante è mettere da parte le motivazioni egoistiche e sforzarsi di  proteggere e migliorare non solo la propria vita ma anche quella degli altri.  Bisognerebbe agire per il bene degli altri perché facendo del bene agli altri  se ne fa anche a se stessi». 
              Sono fermamente  convinto che ora, a cent'anni dalla sua formulazione, sia arrivato il momento  di prendere in considerazione la  competizione umanitaria come principio guida della nuova era. 
              Dico questo perché i  valori della giustizia sociale e dell'uguaglianza, che il socialismo ha  propugnato come antidoti ai mali del capitalismo, affondano le loro radici nei principi  umanistici. Non dobbiamo permettere che questi ideali periscano a causa del fallimento  del sistema comunista, perché ciò significherebbe far cadere nell'oblio una delle  esperienze salienti del ventesimo secolo: la capacità del movimento socialista  di attrarre così tante persone, soprattutto i giovani, in vaste aree del  pianeta. 
              Occorre dunque  chiedersi perché il socialismo, pur essendo basato su principi validi, abbia  fallito come sistema. Per rispondere a questa domanda è opportuno riportare il giudizio di Makiguchi: «Quando la libera competizione viene  ostacolata, sia dall'azione della natura sia da quella umana, si generano  stagnazione, stasi e regressione». 
              Probabilmente il  socialismo è fallito perché non ha tenuto nella giusta considerazione il valore della competizione come fonte di  energia e vitalità. 
              La convinzione che eliminando  le classi sociali e stabilendo delle condizioni di equità sarebbe nata una società  veramente umana si è rivelata troppo ottimistica. La libera competizione  guidata dagli impulsi incontrollati dell'egocentrismo può degenerare in una  sorta di darwinismo sociale in cui i forti sottomettono i deboli; invece la  competizione esercitata all'interno di un adeguato quadro di riferimento di regole  e convenzioni è capace di liberare le energie degli individui e rivitalizzare  la società. In ciò consiste, a mio avviso, il grande valore di questa forma  dicompetizione. 
              Il concetto di competizione umanitaria ci costringe ad  affrontare la realtà della competizione rimanendo ancorati alla solida realtà dei  valori umani. La competizione esercitata all'interno di questo contesto produce una sinergia fra interessi umanitari ed energie  competitive. Queste caratteristiche uniche della competizione umanitaria ne  fanno il paradigma chiave per il  ventunesimo secolo. 
  È importante a tale  proposito tenere conto dell'invito di Gabriel Marcel ad avere sempre come punto  di riferimento la realtà concreta. Le persone impazienti e arroganti che  pensano di avere una risposta a tutto e sono pronte a offrire il loro grandioso  modello per il futuro dell'umanità sono cadute vittima degli aspetti negativi dello spirito di  astrazione.[…] 
            Universalità  interiore 
              Gabriel Marcel non risparmiò le sue severe critiche neanche  alla civiltà industriale e meccanizzata rappresentata dagli Stati Uniti: «Come possiamo non accorgerci che la tecnocrazia  non fa altro che rendere astratto il nostro prossimo, inducendoci nel lungo termine  a negarne l'esistenza?». 
              A distanza di mezzo  secolo possiamo immaginare con quale perizia clinica Marcel avrebbe affondato  il bisturi della critica nel mondo di quella manciata di super ricchi che  perseguono enormi profitti grazie a strumenti finanziari altamente tecnologici:  ossessionati come sono dalle astrazioni del denaro, i super ricchi rimangono indifferenti  di fronte alla triste condizione dei poveri. Il benessere propugnato sulla negazione  del prossimo è imperdonabile e insostenibile. 
              In una mia proposta  di vent'anni fa, quando esisteva ancora l'Unione Sovietica, sostenni con forza  che il nostro approccio verso i principi e le prospettive universali non deve  essere esteriore e trascendente ma immanente e interiore. Questa visione fu accolta  favorevolmente e ricevette il sostegno di molti intellettuali di diverse parti  del mondo. 
              L'universalità  postulata dall'ideologia e dal denaro ha un effetto corrosivo sulle persone del  mondo reale, poiché l'ideologia e il  denaro sono elementi esterni e trascendenti, prodotti dallo spirito di  astrazione 
            Al contrario le  prospettive e i principi che costituiscono ciò che io chiamo "universalità interiore" sono  radicati nel mondo dei fatti concreti e possono essere sviluppati solo in  quella cornice. Le cose veramente importanti sono sempre alla nostra portata,  nel nostro ambiente concreto e più vicino a noi.[…] 
            Insegnando che «un singolo individuo viene usato come esempio, ma la stessa cosa si applica egualmente a  tutti gli esseri viventi »,  il Buddismo  mette in guardia contro le insidie dello spirito di astrazione. In questo  contesto merita una particolare attenzione il metodo adottato da Makiguchi in La  geografia della vita umana. Come si evince dallo stesso titolo dell'opera, rispetto  alla geografia naturale o alla geografia umana "la geografia della vita umana" rimanda al mondo reale,  alla realtà concreta della politica, dell'economia, della cultura,  dell'istruzione, della religione, ecc.; in sostanza essa ha come oggetto  l'ampia gamma delle attività umane in tutta la loro profondità e ricchezza.  Makiguchi cita le
              parole di un  influente pensatore giapponese della metà del diciannovesimo secolo,              Yoshida Shoin (1830-59): «Le persone non esistono separate dalla terra. Gli eventi sono  inseparabili dagli individui. Se vogliamo discutere degli affari umani,  dobbiamo innanzitutto studiare con attenzione la geografia». 
              Ancora più importante  è mettere in evidenza come l'approccio di Makiguchi sia radicato in  quell'universalità interiore a cui accennavo prima, il solido ancoraggio alla realtà  concreta della comunità locale come piattaforma per sviluppare prospettive più ampie.  Per Makiguchi, le condizioni di vaste zone della terra sono generalmente osservabili  all'interno di un minuscolo pezzo di terra (lett. «sullo spazio della fronte di  un gatto»). In tal senso, le caratteristiche essenziali dei fenomeni vasti e  complessi
              che riguardano la  geografia del mondo possono essere spiegate ricorrendo agli esempi concreti di  una singola città o di un villaggio rurale. 
              Se prestiamo attenzione  alle caratteristiche particolari di un minuscolo pezzo di terra- tramite  l'osservazione e l'analisi dei processi vitali che in esso si sviluppano - impareremo  a cogliere le caratteristiche di un intero paese o addirittura del mondo intero[…] 
              Piuttosto che  lanciarci verso i fenomeni vasti e complessi della vita dovremmo partire dalla  realtà concreta del minuscolo pezzo di terra dove ci troviamo ora. Se ci impegniamo a guardare attentamente  quella realtà riusciremo a indirizzare liberamente i nostri pensieri verso una  prospettiva più ampia e accresceremo la nostra capacità di creare connessioni.  Sviluppando questo nuovo tipo d'immaginazione ricco
              di vitalità, cioè una  profonda sensibilità verso la vita quotidiana e la vita stessa, riconosceremo  come nostri vicini non solo gli amici intimi ma anche gli abitanti sconosciuti  di terre lontane con le loro culture e le loro creazioni. 
              Chi ha sviluppato  queste capacità ha in odio la guerra, che devasta la terra e uccide gli esseri  umani. Una robusta umanità che ha radici profonde nella grande terra riesce a  manifestarsi ovunque e in qualsiasi tempo, perfino sul campo di battaglia, come  dimostra la storia seguente. 
              Agli inizi della  guerra russo-giapponese (1904-05) vennero catturati due soldati russi.
              Essendo i primi  prigionieri, furono fatti sfilare pubblicamente perché tutti potessero vederli.  Fra i soldati giapponesi ce ne erano alcuni che non volevano assistere allo spettacolo.  Quando il comandante della compagnia chiese il motivo, uno dei soldati replicò:  «Nel mio villaggio facevo l'artigiano. Quando ho messo l'uniforme, sono diventato  un combattente per il mio paese. [...] Non so che genere di uomini siano, ma  sebbene siano nostri nemici anche loro combattono per la loro terra. Deve  essere molto triste per loro, ora che hanno avuto la sfortuna di essere  catturati, essere
            trascinati qua e là  come fenomeni da baraccone. Mi dispiace e non voglio insultarli o umiliarli  ulteriormente osservandoli con aria sciocca». 
            [...] Quando partiamo dal nostro ambiente circostante e  dai fatti concreti, creando nuove amicizie una dopo l'altra per allargare la  rete della solidarietà umana, si apre davanti a noi il sentiero autentico della  pace.  Se non perseveriamo in questo sforzo l'ideale di una pace duratura sarà  irraggiungibile. Condividere con gli altri questa particolare coscienza e  sensibilità verso la dimensione quotidiana della vita - decontaminati dallo
              spirito di astrazione  - significa nutrire e coltivare la propria universalità interiore. Questo è l'antidoto più efficace contro le  patologie della nostra epoca, una garanzia certa contro quelle forme di  aberrazione in cui gli esseri umani sono sacrificati sull'altare  dell'ideologia, ogni mezzo diventa lecito per raggiungere i propri fini e la tensione  verso un futuro utopico prende il sopravvento sulla concretezza del presente. 
            Sono convinto che la  ricerca costante dell'universalità interiore sia la chiave per dar vita a  un'epoca carica di umanità, capace di durare a lungo.             
            Condividere il futuro 
              Basandomi sul  concetto di competizione umanitaria vorrei avanzare alcune proposte per  contribuire a risolvere la complessa trama dei problemi che l'umanità sta affrontando  in questo frangente. 
              Oltre a un dissesto  economico di dimensioni planetarie, il mondo è alle prese con una serie di  problemi collegati fra loro: il  cambiamento climatico, il degrado ambientale, la penuria di cibo, la carenza di  energia e la povertà. Dal punto di vista storico la crisi che stiamo  vivendo sembra presentare alcuni fra gli aspetti più allarmanti che caratterizzarono  la grande depressione negli anni Trenta e la crisi dei primi anni Settanta.[…] 
              Durante la prima metà  degli anni Settanta, l'improvviso mutamento della politica economica e  monetaria statunitense - definito "Nixon  shock" (l'annuncio nel 1971 che il dollaro non era più automaticamente  convertibile in oro, con l'imposizione di una sopratassa del dieci per cento su  tutte le importazioni negli USA, e la storica visita di Nixon in Cina nel 1972,  che colse del tutto impreparata la diplomazia mondiale, n.d.r.) - portò  alla crisi petrolifera, e sempre in  quel periodo cominciarono a manifestarsi nuove problematiche a livello  mondiale. Per far fronte alla situazione
              furono organizzate  sotto l'egida delle Nazioni Unite le  prime conferenze a livello internazionale sulle questioni ambientali e  alimentari, e le democrazie più industrializzate si riunirono per la prima  volta in un vertice (G6) a Rambouillet, in Francia. Da queste iniziative  nacquero importanti organismi di cooperazione internazionale ancora oggi  operativi, che purtroppo non hanno funzionato in modo efficace poiché gli  interessi nazionali dei vari paesi ne hanno spesso frenato l'azione. 
              Prova ne è il fatto  che i problemi emersi a quel tempo rimangono ancora largamente irrisolti. Oggi  dobbiamo dimostrare più coraggio e agire sulla base di una visione più ampia rispetto  alla scarsa lungimiranza con cui la comunità internazionale ha affrontato le crisi  che si sono succedute nei decenni passati. 
              Negli Stati Uniti,  che sono l'epicentro della attuale crisi finanziaria globale, il              "cambiamento" è stato il tema centrale della  campagna elettorale di Barack Obama, eletto  recentemente presidente degli Stati Uniti. Nel suo discorso di insediamento ha affermato: «Il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso. [...]. Quello che ci è richiesto è una nuova era della  responsabilità».  La sfida  per generare il cambiamento non  riguarda solo gli Stati Uniti ma il mondo intero. In questa sede vorrei indicare tre punti fondamentali che possono aiutare a trasformare la crisi mondiale in corso in un catalizzatore capace  di aprire nuove prospettive per il  futuro dell'umanità, invitando all'utilizzo della competizione umanitaria come strumento capace di  creare una comunità globale caratterizzata dalla coesistenza pacifica. 
              Il primo punto è mettere in campo azioni concertate  nell'affrontare i problemi
            ambientali, il secondo è la condivisione della  responsabilità dei beni pubblici globali attraverso la cooperazione  internazionale e infine il terzo è  la condivisione degli sforzi per la pace per giungere all'abolizione delle armi  nucleari.             
            La questione  ambientale 
              Vorrei discutere il  primo di questi tre punti con uno specifico riferimento alla
              questione del cambiamento climatico. 
              Il riscaldamento globale sta avendo un profondo  impatto sugli ecosistemi esistenti, e oltre a essere il principale responsabile  dei disastri climatici può contribuire ad aggravare i conflitti armati, la  povertà e la fame. È veramente l'emblema  della crisi del ventunesimo secolo. 
              Il Segretario generale  delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che  ha indicato il
              cambiamento climatico  come una delle questioni centrali di cui si dovrebbe occupare l'ONU, ha lanciato un monito: «Tuttavia, nel lungo periodo, nessuno, ricco  o povero, rimarrà immune dai pericoli provocati dal cambiamento climatico». In altre parole, nessuno  può rimanere spettatore: il cambiamento  globale è un problema che riguarda tutti. 
              Il cambiamento climatico è una crisi  "multidimensionale" che costituisce una minaccia per il futuro  dell'umanità e porrà le generazioni future di fronte a tremende sfide. 
              Purtroppo dobbiamo  constatare che lo scorso anno i negoziati sulla riduzione delle emissioni di  gas a effetto serra non hanno fatto registrare progressi significativi. È indispensabile  che vengano avviate discussioni fruttuose in tempo utile perl'appuntamento di  dicembre di quest'anno, la data entro cui si dovrà giungere a un accordo sul  nuovo quadro di riferimento che sostituirà il protocollo di Kyoto in vigore  fino alla fine del 2012. È cruciale che oltre al rinnovato impegno da parte dei  paesi industrializzati, anche i paesi emergenti e in via di sviluppo svolgano  un ruolo attivo nella definizione del nuovo  accordo post-Kyoto. 
              La domanda che  dobbiamo porci è in che modo possiamo mettere in campo azioni condivise. La  politica energetica è certamente un ambito attorno a cui è possibile costruire  forme di cooperazione internazionale. Da una parte c'è la necessità di  assicurare adeguate risorse energetiche ai paesi in via di sviluppo e a quelli  emergenti, dall'altra la questione  dell'energia nel suo complesso deve diventare la chiave di tutti gli sforzi  che i paesi sviluppati devono intraprendere per attuare la transizione verso una società a "basso carbonio" e  senza sprechi. 
              Considerando che  quasi il sessanta per cento delle emissioni di gas a effetto serra sono  prodotte dal consumo di combustibili fossili, mettere in campo azioni concertate a livello globale sulle  politiche energetiche potrebbe essere un modo efficace per combattere il  cambiamento climatico. 
              Il piano di stimolo economico e la strategia per la  creazione di posti di lavoro predisposti dal presidente americano Barack  Obama puntano alla creazione di nuove industrie  e nuovi posti di lavoro in settori come lo sviluppo di fonti energetiche alternative,  tanto che si è parlato di un "New  Deal verde". Analogamente un crescente numero di paesi - compresi il Giappone e la Corea del Sud - stanno  valutando o già attuando misure  economiche d'emergenza tese a promuovere gli investimenti nei settori dell'energia e dell'ambiente. 
              Nella mia Proposta di  pace dell'anno passato ho espresso l'auspicio che la
              competizione  umanitaria diventi il cuore degli sforzi finalizzati a risolvere la crisi ambientale  globale, e ho sollecitato l'adozione di misure e iniziative volte a incentivare l'energia rinnovabile e  l'efficienza energetica, allo scopo di realizzare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili a una  società a basso carbonio e senza sprechi. I recenti sviluppi suggeriscono che  ci stiamo muovendo in questa direzione. 
              L'istituzione  dell'Agenzia internazionale per la promozione delle energie rinnovabili (IRENA, International Renewable Energy  Agency), nata grazie al sostegno di oltre cinquanta paesi, ne è un esempio.  Questa organizzazione intergovernativa fondata a Bonn, in Germania, il 26  gennaio di quest'anno, intende promuovere  a livello internazionale l'uso delle energie rinnovabili nei paesi  industrializzati, in quelli emergenti e in quelli in via di sviluppo.  
              Avendo io chiesto  sette anni or sono              l'istituzione di un  organismo simile che si occupasse della promozione delle fonti di energia  rinnovabile, accolgo con soddisfazione la creazione di questa nuova agenzia internazionale. 
              Riguardo alle  problematiche connesse all'efficienza energetica, nel dicembre del 2008 i  ministri con la delega all'energia di alcune nazioni, tra cui i paesi del G8, la Cina, l'India e il Brasile,  hanno sottoscritto una dichiarazione comune per l'istituzione nel 2009 di un  Accordo internazionale di cooperazione nell'ambito dell'efficienza energetica  (IPEEC) e la collocazione del suo segretariato all'interno della Agenzia internazionale  per l'energia (IEA, International  Energy Agency). 
              Questi nuovi  organismi devono essere pienamente operativi entro la fine del 2012, quando  scadrà il primo periodo di azione del protocollo di Kyoto. In futuro potrebbero  diventare un punto di incontro per costruire la cooperazione
              internazionale e  giocare un ruolo chiave nell'attuazione della Convenzione quadro delle Nazioni  Unite sui cambiamenti climatici del 1992. 
              Oltre a queste misure  propongo che in futuro venga creata, sotto l'egida delle Nazioni Unite,  un'agenzia internazionale per l'energia sostenibile che agevoli il lavoro di queste  due organizzazioni (IRENA e IPEEC), affinché la cooperazione internazionale sulle  politiche energetiche possa radicarsi profondamente in tutta la comunità mondiale. 
              Qualcuno potrebbe  esprimere perplessità di fronte a queste iniziative, obiettando che il  trasferimento di tecnologie avrebbe l'effetto di indebolire la competitività economica  dei singoli paesi e che i costi per finanziare la cooperazione internazionale comporterebbero  un ulteriore aggravio per i contribuenti.  
              A mio avviso la cooperazione internazionale finalizzata  all'obiettivo condiviso di invertire la tendenza al riscaldamento globale si  accorda con il principio che Makiguchi considerava centrale per l'attuazione  della competizione umanitaria: «Facendo  del bene agli altri facciamo del bene anche a noi stessi».  
              Infatti, partendo da  questa prospettiva più ampia, gli sforzi volti a far del bene all'umanità nel  suo complesso avranno conseguenze positive per ogni singolo stato. Questa nuova  agenzia per l'energia sostenibile può essere pensata come uno spazio per  rafforzare la solidarietà e come un centro dove far confluire i suggerimenti provenienti  dai governi locali, dal settore privato e dalle organizzazioni non governative,  al fine di costruire una società globale sostenibile.  
              Attraverso un sistema  aperto di registrazione, tutte le organizzazioni interessate potrebbero  documentare le proprie attività e le buone pratiche, che sarebbero poi rese  disponibili in una banca dati presente su Internet, fornendo così una  piattaforma per lo scambio di informazioni e le ricerche di partenariato. 
              Nel novembre del 2008 l'Istituto Toda per la pace globale e la  ricerca politica, affiliato alla Soka Gakkai Internazionale, ha organizzato  una conferenza dal titolo "Affrontare il  cambiamento climatico con una nuova etica ambientale".  
              Tra i punti focali  della conferenza, la necessità di creare delle sinergie fra i governi, il  settore privato e la società civile, sulla base del loro comune senso di  responsabilità verso le generazioni future. A tal fine, nel corso della  conferenza è stata ribadita l'importanza di ottenere l'appoggio e la  partecipazione attiva di ampi settori dell'opinione pubblica. 
              A partire dal 2002 la Soka Gakkai  Internazionale ha organizzato la mostra I semi del cambiamento: la Carta della Terra e il  potenziale umano in venti paesi e in otto lingue diverse, in  collaborazione con la Carta della Terra. La SGI ha anche promosso dei progetti  sull'ambiente, come per esempio programmi di imboschimento in diversi paesi  del mondo, collaborando con organizzazioni che perseguono finalità simili. 
  Le singole  iniziative sull'ambiente sono molto preziose, tuttavia gli sforzi di              cooperazione generano  un notevole effetto moltiplicatore. 
            Quest'anno il Decennio delle Nazioni Unite per  l'educazione allo sviluppo sostenibile sarà a metà del suo cammino;  un'iniziativa importante che sottolinea la necessità di coinvolgere attivamente i cittadini comuni nelle attività educative e  nelle campagne di sensibilizzazione. 
Responsabilità per il  futuro 
  Il secondo punto che  vorrei indicare è la condivisione della responsabilità dei beni pubblici  globali attraverso l'attuazione di forme di cooperazione internazionale. Uno degli  elementi chiave della cooperazione in questo ambito potrebbe essere la creazione  di una banca alimentare mondiale.[…] Per garantire stabilmente il diritto  al cibo per tutti gli abitanti della terra dobbiamo predisporre un meccanismo  che consenta di avere una certa quantità di scorte di cereali sempre  disponibili come bene pubblico globale. Se si verificasse una crisi alimentare  queste scorte potrebbero essere distribuite per fronteggiare l'emergenza oppure  essere immesse sul mercato per calmierare i prezzi. 
              Proposi l'istituzione  di una banca mondiale alimentare per la prima volta nel 1974, preoccupato di  come gli egoismi nazionali stessero prevalendo sugli interessi umanitari  riguardo al problema della fame nel mondo, e perché ritenevo che i beni essenziali  per la sopravvivenza non dovessero essere oggetto di trattative politiche.  
              È del tutto ovvio che ciascun paese voglia garantire la  sicurezza alimentare del proprio popolo, ma questo non può avvenire a spese  degli altri.  Occorre stabilire la sicurezza alimentare a livello mondiale. 
              La crisi alimentare è  stata uno dei punti discussi dal vertice dei G8 che si è svolto a Toyako  nell'Hokkaido a luglio dell'anno scorso. Nella Dichiarazione finale sulla sicurezza  alimentare mondiale i leader del G8 si sono impegnati per la prima volta a «studiare  le opzioni possibili per adottare un approccio concertato sulla gestione delle scorte,  e in particolare a valutare i vantaggi e gli svantaggi di un sistema  "virtuale" delle riserve per scopi umanitari coordinato a livello  internazionale».  Prima dell'inizio  del vertice il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick ha sollecitato i leader del G8 a valutare i  vantaggi di un tale sistema di riserva alimentare. È giunto il tempo di  fare progressi nella realizzazione di queste
              iniziative.[…]  […]Attualmente sono allo studio altri strumenti, come la tassazione a livello internazionale  delle transazioni in valuta e la carbon tax. Ci si augura che sempre più  stati aderiscano all'iniziativa. Questi finanziamenti sono indispensabili per far fronte ai doveri umanitari del  ventunesimo secolo, che richiedono uno sforzo di cooperazione su scala  mondiale equivalente a quello attuato dal Piano Marshall nel secolo scorso. 
              C'è un urgente  bisogno di stimolare le discussioni preliminari in vista della Quarta conferenza  ONU sui paesi meno sviluppati in programma nel 2011 e di dare impulso al  raggiungimento degli Obiettivi di  sviluppo del millennio. Dobbiamo costruire dei solidi sistemi di reti di  sicurezza per proteggere le persone più vulnerabili del mondo anche dopo il  2015, la data fissata per il raggiungimento di tali Obiettivi. 
              La questione del  "miliardo di ultimi" (bottom  billion) - cioè i più poveri fra i poveri di cinquantotto paesi, che per  lungo tempo sono rimasti tagliati fuori dalla crescita economica mondiale - è  stata l'anno scorso uno dei punti al centro del dibattito all'ONU. La profonda disparità che esiste nel  riconoscimento del valore della vita e della dignità umana, virtualmente  predeterminati dal luogo di nascita, è un'ingiustizia inaccettabile che deve  essere eliminata. 
              Se intendiamo  affermare il diritto alla dignità umana - cioè esprimere quel sentimento di  compassione che secondo Jean-Jacques  Rousseau (1712-78) animava addirittura le primissime comunità umane -  dovremmo mobilitarci per rimuovere questa ingiustizia. 
              Il premio Nobel per  l'economia Amartya Sen ha osservato:  «La povertà va considerata come privazione  delle capacità fondamentali dell'essere umano e non come  pura e semplice scarsità di reddito». 
              Abbiamo assolutamente  bisogno di ricevere il sostegno della comunità internazionale per aiutare  questo miliardo di poveri ad affrancarsi dalle difficili e spesso umilianti condizioni  di vita in cui tali persone sono costrette a vivere. 
            Il Giappone riuscì a riprendersi in tempi brevi e con  successo dalle devastazioni subite durante il secondo conflitto mondiale. Mi  auguro sinceramente che il mio paese voglia fare buon uso della sua esperienza,  dimostrando di saper assumere un ruolo  guida negli sforzi mirati ad  affermare il diritto di tutte le persone a vivere in condizioni pacifiche e  umane come un bene comune globale per il ventunesimo secolo.[…] 
Disegnare il  cambiamento 
   […]Le parole con cui si apre la Carta delle Nazioni Unite «Noi, i popoli [...]» non devono rimanere  solo una frase retorica, ma devono rappresentare uno sprone a fare di questa organizzazione  un luogo dove trovino cittadinanza le  preoccupazioni e la vita delle persone reali. Le innovazioni che ho  illustrato sarebbero un passo concreto verso il raggiungimento di questo  obiettivo. […] 
ll dialogo fonte  creativa 
  Il dialogo offre  infinite possibilità; è una sfida che chiunque, in qualsiasi luogo si trovi,  può intraprendere per realizzare la trasformazione  della cultura della violenza in una cultura della pace.[…] 
              Sorretto da questa  profonda fiducia nel potere del dialogo, fra il 1974 e il 1975, nel periodo di  maggiore tensione della guerra fredda, ho compiuto ripetuti viaggi in Cina, Unione  Sovietica e Stati Uniti. In veste di privato cittadino, sinceramente  preoccupato per le conseguenze del conflitto in atto, ho avuto incontri con i  massimi responsabili politici di quei paesi e mi sono adoperato per allentare e  mitigare il clima di tensione. 
              Sin da allora ho  sempre cercato di contrastare le forze della divisione, costruendo ponti di  amicizia e di fiducia in tutte le parti del mondo.[…] 
Se rimaniamo rinchiusi negli schemi di una determinata ideologia, di  una cultura etnica o di una religione - imprigionati dunque nello spirito di  astrazione di cui ho parlato nelle pagine iniziali della mia Proposta -  saremo alla mercé di un moto alterno di flusso e riflusso e rimarremo arenati nelle secche della  storia, senza nessuna possibilità di progredire. 
              Al contrario se  spingiamo la nostra ricerca al di là delle definizioni arbitrarie e superficiali e ci impegniamo a dialogare con gli  altri individui, dando vita a una  interazione intensa e spontanea di cuore e mente, saremo capaci di              provocare i «profondi e lenti movimenti»che secondo Toynbee creano veramente la storia  umana. 
              Sorretto da questa  convinzione, ho dialogato con numerosi personaggi di spicco e pensatori degli  ambiti più diversi. Senza farmi spaventare dalle barriere che dividono le  persone ho viaggiato in paesi spesso in conflitto fra loro, cercando di aprire  una possibilità di dialogo e comunicazione laddove non ne esisteva alcuna.  
              Animato dal desiderio  di condividere con un numero sempre maggiore di persone le lezioni che ho imparato  grazie a questi dialoghi, ne ho pubblicati molti in forma di libro (cinquanta sono  già usciti e venti sono in preparazione). 
            La Soka Gakkai è nata nel 1930, nel  pieno di una crisi mondiale. 
            La Soka Gakkai Internazionale è  stata fondata nel 1975, un altro momento di crisi. Da allora ci siamo costantemente  dedicati a promuovere iniziative a sostegno delle Nazioni Unite e ci siamo  sempre sforzati di contribuire al benessere della comunità in cui ciascuno di noi  vive, creando una cultura di pace attraverso il dialogo a livello di base. 
            I nostri sforzi  traggono ispirazione dalla visione della competizione umanitaria formulata da Makiguchi  e dai ripetuti appelli di Toda a sradicare la miseria dalla faccia della terra. 
  Legata da un impegno  comune verso l'umanesimo e il raggiungimento del bene più grande, la nostra  rete di cittadini si è diffusa in centonovantadue paesi del mondo. La visione che Toda aveva della Soka Gakkai  come di «un magnifico mezzo capace di nutrire  e dare potere alla gente», e che condivise con me nel corso della  nostra lunga amicizia, sta gradualmente  diventando una realtà. 
  Mirando  all'ottantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai e al trentacinquesimo  anniversario della fondazione della SGI nel 2010, siamo
  determinati a  continuare a collaborare con le persone di buona volontà verso una nuova era di  pace e sviluppo umano. 
               
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