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            RIFLESSIONI 
              SULLA NATURA DELL’ARCHITETTURA NEL NOSTRO TEMPO  
              di Christopher Alexander  
              traduzione di Franca Bossalino  
            Un criterio oggettivo per valutare l’architettura 
              Il Fenomeno della vita -il Primo Libro della “Natura 
              dell’ordine”- descrive un criterio completamente 
              nuovo, scientifico, per definire il valore in architettura. E’ 
              il risultato di 27 anni di osservazioni accuratamente registrate. 
              La proposizione fondamentale contenuta in questo libro è 
              che il grado di vita sia una caratteristica oggettiva e osservabile 
              degli edifici e di altri artefatti, che essa dipenda dalla presenza 
              o assenza di una struttura identificabile che possiamo chiamare 
              “struttura vivente”: e che è 
              la presenza o l’assenza di questa struttura che distingue 
              gli edifici di valore da quelli che non lo sono, la buona dalla 
              cattiva architettura. 
               
              Voglio osservare che questa è vera scienza, che  produce risultati reali, non un lavoro accademico che scimmiotta soltanto le  forme della investigazione scientifica, nei modi, nelle parole e nella  presentazione. 
E’ scienza vera, in cui le questioni empiriche vengono analizzate e -nonostante  la loro inerente difficoltà- le analisi cominciano a mostrare risultati  condivisibili, empirici, che potrebbero in un decennio o due, cominciare ad  avere effetti profondi nella nostra società. E’ un lavoro che ha enormi  implicazioni per tutte le questioni più profonde del progetto architettonico e urbanistico.  Ho scritto questo libro per il mio desiderio di aiutare a poggiare  l’architettura su una fondazione stabile: per le mie convinzioni che tali  questioni, sono inevitabilmente al centro del lavoro che tutti noi architetti  facciamo ogni giorno. 
Il libro presenta argomenti che riguardano la difficoltà scientifica di  trattare questo tema. Presenta centinaia di esempi. Presenta un background di  teoria matematica applicata agli esempi dell’architettura presi dalla storia. 
E’ scritto in un linguaggio semplice, con una evoluzione accurata delle idee,  dai fondamenti, ai principi, fino ai risultati concreti, alle tecniche  sperimentali, al confronto con altri esempi simili realizzati nel campo dell’architettura. 
Se esistesse davvero un criterio scientifico da usare per distinguere la  struttura vivente da quella non-vivente e  fosse formulato abbastanza bene per poter essere  applicato all’architettura, questo sarebbe di grande importanza per la nostra  professione e per la società; sarebbe  un  passo in avanti rispetto alla difficoltà che abbiamo oggi nel costruire buoni  ambienti. 
Nel Fenomeno della vita è percepibile il grande disagio di molti architetti  contemporanei di fronte al fatto che il criterio della struttura vivente  applicato alla produzione stilistica dell’architettura della nostra epoca,  porterebbe, in molti casi, a valutazioni negative. Una tale visione, mettendo  in dubbio per la prima volta il sacerdozio dell’architettura, sarebbe coerente  con le opinioni di tanta gente comune che non ama la grande architettura  dell’immagine. attualmente in voga. Pertanto, esiste la possibilità che se  questo libro venisse preso sul serio, sia dagli architetti che dalla società in  generale, la bolla dell’architettura dell’ultima parte del secolo XX e il suon  tentativo di truffare il pubblico, potrebbe, all’improvviso, scoppiare.  
               
              La mancanza di un canone condiviso del valore 
              E’ probabile che la debolezza più pericolosa della  professione architettonica è la mancanza di un canone di valori condiviso che  risieda nei sentimenti profondi delle persone  comuni, e che venga percepito nelle loro  esperienze.......Nella nostra professione, invece, si è  commesso l’errore di guardare il pubblico  dall’alto in basso, sostenendo un’ idea del valore altamente specialistica, condivisa  solo da alcuni, secondo la quale  l’uomo comune è ignorante e gli architetti  come persone che hanno il diritto, l’autorità e il potere politico, di  continuare ad ignorare l’opinione pubblica sui valori architettonici e di  diffondere il proprio particolare marchio dell’architettura dell’immagine postmoderna  priva di qualunque contatto con uomini e donne.  
               
Gli architetti postmoderni hanno rinunciato alla speranza che esista la verità  in qualunque cosa dell’architettura e che esistano semplicemente attitudini,  opinioni e travestimenti di  valore  equivalente: questa  convinzione  insana- inevitabile sotto l’influsso del  pensiero cartesiano- è proprio quella che, negli ultimi 50 anni,  ha scavato la fossa per l’architettura.  Tale convinzione  è stata considerata  indispensabile per rinforzare e salvare  l’assurdità della loro posizione. Quindi, qualunque linea di pensiero che oggi  suggerisca che il sentimento e la qualità sono oggettivi, deve essere  considerata  un anatema, poiché,  ammettere la loro oggettività metterebbe a nudo la povertà delle loro  concezioni, ed esporrebbe al mondo la vuota falsità della professione in tutto  il secolo XX. 
            Qual è, dunque,  il vero contenuto del libro, Il fenomeno della vita? 
              La tesi è diretta. Dice che la separazione  positivista del fatto dal valore e la nozione che soltanto i fatti siano  oggettivi- mentre i giudizi di valore possono solo essere questioni di opinione  personali- è fallita e che esiste 
              uno schema delle cose in cui i giudizi di valore possono essere 
              esaminati empiricamente e che se esaminati in un certo modo particolare, i  sentimenti della gente comune forniscono un insieme di giudizi che è stabile e  attendibile, da persona a persona e, comunque, molto differente nel contenuto  dalle nozioni di valore che sono oggi dominanti tra gli architetti di successo. 
 
C’è una seconda parte di questa tesi, e  precisamente, che il valore che viene identificato attraverso questi metodi  empirici, è generato da una struttura identificabile e ripetibile in tutte le  strutture che possono essere identificate matematicamente e si incontra  ripetutamente nelle strutture naturali, specialmente in quelle che normalmente  si ritiene siano dotate di vita. Confrontate con questo genere di strutture,  quelle proposte dagli architetti nei decenni recenti, spesso sono prive di vita  e appartengono a un genere di strutture  che possono considerarsi morte. 
L’argomento chiave, naturalmente, è che, sia la stessa tesi originale che  l’osservazione secondaria, appena citata, siano sostenute da una dovizia di  prove empiriche, secondo gli esperimenti che possono essere facilmente. Verificati.  Le procedure sperimentali interessate sono insolite, ma costituiscono,  nondimeno, esperimenti condivisibili e ripetibili. Bisognerebbe dire subito che  gli esperimenti non sono rilevamenti di opinioni, quanto piuttosto esperimenti  che usano giudizi soggettivi di un tipo particolare e controllato, per ottenere  misure della vita presente nelle cose, negli eventi e nelle situazioni.  
               
              In tal modo l’intero schema delle cose, in cui il  valore assume una nuova forma e in cui i giudizi di valore sugli edifici  possono essere verificati e discussi in un linguaggio ragionevole, ha un  riconoscimento sperimentale e avrebbe- ove lo si ritenga attendibile- un enorme  impatto sul corso dell’architettura presente e futura. 
Questa tesi, di grande importanza se vera, specialmente per l’architettura,  viene chiaramente definita e argomentata in questo primo libro su “La Natura 
              dell’Ordine”. 
             Il concetto di totalità 
              Scientificamente parlando, qual è l’origine della  struttura vivente? 
E come può essere definita per essere accessibile alla discussione, all’esperimento,  al dibattito? 
La sua essenza risiede nell’idea di totalità. Negli ultimi due decenni i fisici  e gli altri scienziati e i filosofi della scienza, hanno cominciato a scoprire  che una visione del mondo basata sulla totalità è essenziale per una comprensione  adeguata dell’universo puramente fisico. Una visione della totalità come  struttura esistente è essenziale nella fisica dei quanti: essenziale nella  biologia, essenziale nell’ecologia; in una forma o nell’altra, essenziale in  quasi ogni campo della scienza contemporanea. Eppure, anche in queste aree, è  stato difficile forgiare un concetto scientificamente preciso di totalità.  L’idea pone domande alla scienza affinché estenda proprio le nozioni stesse  dell’analisi scientifica, poiché richiede una visione in cui il valore e la  nozione di totalità e l’inclusione dell’osservatore nella descrizione di ciò  che viene osservato, sembrano entrare in conflitto con il metodo scientifico;  eppure, debbono esservi incluse al fine di ottenere dei risultati. 
               
              Per gli scienziati, è diventato pertanto necessario  trovare nuovi metodi di indagine e di osservazione, in cui la totalità, il sé,  il sentimento e il valore abbiano un ruolo all’interno dell’atto stesso  dell’osservazione; tuttavia- se debbono far parte della scienza- queste  inclusioni debbono lasciare la scienza oggettiva  integra e affidabile. 
I concetti, le tecniche sperimentali e perfino il modo in cui modificare la  nostra visione essenzialmente cartesiana, così da poter ammettere il sé, l’Io e  il sentimento, sono straordinariamente difficili. Ma sono necessarie per il  progresso della scienza. 
Sono anche necessarie per il progresso dell’architettura. Questo argomento è di  grandissima importanza per gli architetti e per l’architettura in quanto  disciplina, poiché, ogni volta che costruiamo un edificio, è il grado di  partecipazione alla più grande totalità del mondo che lo circonda  che determinerà il suo successo, la sua  armonia e il suo grado di vita. 
 
Perché tutto ciò è tanto importante per l’architettura? 
L’armonia di una strada o di un edificio con il suo paesaggio può essere  compresa e resa profonda soltanto se abbiamo un’immagine della totalità che si  adatta armoniosamente. 
L’adattamento della luce e del movimento nell’atrio di un edificio può essere  compreso se, ancora una volta, abbiamo un’ immagine della struttura della  totalità che sostiene l’adattamento.  Per  aprire una finestra in un muro , perchè sia fatta come si deve , cioè, perché  abbia  la giusta posizione e  la   giusta dimensione, perché  il suo  disegno sia in accordo con l’armonia dell’insieme  si deve comprendere la totalità. Mi ricordo  che Peter Eisenmann mi disse di non essere interessato all’armonia! Poiché il  mondo è tanto tormentato, voleva esprimere il tormento. Bene per Mr Eisenmann!  Non tanto bene per gli sfortunati che debbono abitare i suoi edifici. 
            Nonostante l’importanza dell’argomento, per  qualche strana ragione gli architetti sono stati gli ultimi a svegliarsi e  unirsi al movimento mondiale intellettuale e culturale delle scienza che cerca  di comprendere il concetto di totalità e, anzi, sono stati -e ancora sono -straordinariamente  ostili a questo tipo di  ragionamenti.  
Ricorderò sempre con quanta ostilità reagirono i miei colleghi di  facoltà a Berkeley, quando 25 anni fa cominciai a parlare, nei consigli di  Facoltà, della totalità come  concetto  fondamentale per l’architettura. Solo la parola, ‘totalità’, accese i loro  animi e li rese furiosi, impazziti, come se fosse un attacco personale. Nel  1989 il nostro Preside Howard Friedman osò proporre che la totalità venisse  inclusa nel curriculum degli studi di architettura come materia di studio. Al  successivo consiglio di Facoltà subì un attacco personale da parte di uno dei  membri. La conseguenza dell’intensità di quell’assalto verbale fu  l’interruzione della riunione. Ma prima che il consiglio lasciasse l’aula, nei  minuti che seguirono,  Howard ebbe un  fatale attacco di cuore. Fu portato all’ospedale e morì poco dopo. 
Un così tragico evento non permetterà che il tema della totalità e del valore  vengano messi da parte. Semplicemente indica quanto antagonismo possa generare  questo concetto, probabilmente perché minaccia di entrare in profondità nel  tessuto della pratica quotidiana e dei suoi presupposti.  
Questo genere di sfida profonda è così dolorosa per gli architetti e i docenti  di architettura, che molti di loro reagiscono con sorprendente ostilità. Invece  di dedicare qualche sobria riflessione ai difficili problemi scientifici e  architettonici, scelgono semplicemente di distruggere l’autore invece che gli  argomenti (che nemmeno citano e forse nemmeno capiscono). E’ probabile che contino  su  questa strategia per far scomparire,  tutto in una volta, l’argomento. 
Ma l’argomento resta di grande importanza.
            Una visione dell’architettura come 
              disciplina che cura il mondo 
              Considerate l’architettura in modo  completamente differente, in cui ogni azione, piccola media o grande, è  governata da una regola unica che tutto abbraccia: “Qualunque cosa si faccia  deve sempre essere fatta avendo la massima cura possibile della totalità: la Terra, la gente, le strutture  esistenti della città.” 
              Questa regola deve essere applicata quando si posiziona una finestra nel muro;  quando si colloca un edificio lungo una strada; quando si costruisce o  ricostruisce un quartiere nella città. In ogni caso quello che è importante è  la cura dell’insieme, l’integrità vivente della Terra, in quel quartiere, e  l’amore e la dedizione che lo sostengono, lo preservano e lo estendono. 
              Ciò è totalmente diverso dall’attuale concezione  per cui ogni cosa fatta vive in grande misura  per se stessa: è questa l’idea che domina   il progetto in  tutta  l’architettura classica postmoderna in voga oggi, i cui obiettivi - l’eleganza,  il profitto, la pubblicità- si contrappongono   a quelli della totalità, della cura e della struttura.   
 La Terra, la città, la  metropoli, possono essere modellate da un processo che ha come obiettivo la  vita, la cura della superficie della Terra- nelle aree metropolitane e nella  natura- per la creazione di una struttura vivente.  
In questo caso, la geometria, il progetto, i processi costruttivi, saranno  tutti differenti, e quello che noi crediamo adesso sia architettura, sarà  abbandonato in favore di una nuova visione che prima di ogni altra cosa aspiri  al benessere della Terra, dei suoi luoghi e dei suoi abitanti, animali, piante  e pietre. 
             
            Grandi cambiamenti nella disciplina dell’Architettura: il concetto di cura 
            La filosofia meccanicista e le arbitrarie  visioni del valore che continuano a influenzare l’architettura nel presente  sono intimamente connesse. 
              In primo luogo, l’ideale del profitto degli imprenditori e l’approccio  all’architettura, alla costruzione e alla pianificazione orientate al profitto,  inevitabilmente operano contro la totalità e contro la cura della Terra. Questo  perché gli obiettivi di valore che possono stabilirsi all’interno dei concetti  di meccanismo sono essenzialmente incapaci di far crescere la totalità o di  curare i sistemi. 
              In secondo luogo, la stessa idea di cura presuppone che noi sappiamo che cosa  vuol dire curare, che cosa è la salute, che cosa perciò è la totalità. 
              Ancora più importante, quando si pensa e si parla facendo riferimento alla  struttura del mondo mentale governato dal meccanismo, qualunque pensiero sul  valore diventa arbitrario, un valore impresso sulla logica della macchina,  esterno ad essa, e perciò arbitrario.  
              Pertanto, i nostri valori riguardo all’architettura, durante gli ultimi  cinquanta anni, sono stati arbitrari, perché sono stati inventati  arbitrariamente. Sono protetti dai professionisti soltanto perché sono utili  agli obiettivi dello sviluppo indotto dal capitale, il pane e burro  dell’architetto post-moderno. Quindi, i valori, le immagini postmoderne- come  tutte le altre immagini e gli stili che passano- servono il capitale, il  profitto, lo sviluppo, ma sono contro la totalità, contro la salute, contro il  benessere della Terra. 
              Questa è l’eredità letteraria ed artistica trasmessa oggi nelle scuole di  architettura, e che si propaga attraverso gli architetti e gli edifici che sono  funzionali al processo di sviluppo indotto dal capitale. 
              Questa eredità non serve alla totalità. Non serve l’insieme. Non aiuta a curare  il mondo o a ricostruire la   Terra come un luogo in cui le api, gli uomini, le brezze, le  pietre, le lucertole possono correre liberi… né aiutano gli uccelli, i ragni,  le volpi, l’acqua, gli affari, i ristoranti e i taxi che popolano la città.  
              Ho passato la mia vita cercando di trovare un modello scientifico  condivisibile, razionale, che portasse alla luce questo tema della vita, della  totalità e dell’armonia- specialmente quando investe la geometria degli  edifici- per consentirci di fare una discussione e di osservare i suoi effetti. 
   
              E’ in nostro potere prendere una strada alternativa, in cui ogni singolo atto del  costruire- progettare, decorare, migliorare economicamente- venga fatto come  parte della cura della Terra. Questo è possibile perché anche in questo caso  siamo capaci di creare la natura. 
              Ma non possiamo ottenere tutto ciò o nemmeno muoverci nella sua direzione,  senza il rispetto della totalità, chiarita come concetto e formulata in modo  tale da trascendere ogni attuale presunzione, concetto e ideale a breve  termine. 
              Il futuro sta nella profonda comprensione  della totalità come concetto e come fondamento della pratica. Allontanarsi da  questo è più che semplice miopia. Sarebbe una tragedia per gli architetti  infliggere ulteriori danni alla Terra già tanto sconvolta.  
              Andare da un’altra parte a cercare un visione della vita scientifica e  possibile che possa diventare un fondamento della pratica architettonica, è più  morale di ciò che facciamo oggi, più giusto, più bello. Va più nella direzione  di servire la vita. E tutti coloro che praticano questa forma corretta di  architettura, probabilmente si sentiranno essi stessi più integri. 
              Quando la vita dell’ambiente gioca un ruolo tanto fondamentale per il benessere  della Terra e quando la scienza stessa lotta per comprendere la natura della  totalità in gran parte delle nuove aree scientifiche, sarebbe un grande peccato  se un attacco filisteo ai tentativi preliminari di progredire in quella  direzione dovessero mantenere l’architettura come l’ultimo dei dinosauri  filosofici dell’era meccanicista. 
Quali sono, allora, le implicazioni dell’architettura 
              fondata sulla totalità, per i nostri valori architettonici 
              dominanti? 
              La teoria è così ricca e dettagliata, che possiamo  trarne conseguenze straordinarie. Queste sono presentate nei volumi 2, 3 e 4.  Le conseguenze della teoria hanno implicazioni nei processi che una architettura  positiva deve usare per ottenere edifici che abbiano una vita. 
Hanno implicazioni che dettano alcune relazioni tra il progetto e la  costruzione e ne eliminano altre, come parte necessaria dell’architettura.  
Ha implicazioni nel coinvolgimento della gente nel progetto degli edifici e nei  modi precisi in cui questo coinvolgimento è probabile che si realizzi oppure  no. Ha implicazioni nel flusso di denaro. Ha implicazioni nel trattare il  dettaglio architettonico e nella realizzazione dell’integrazione  dell’ingegneria strutturale nella struttura del progetto. 
Ha anche implicazioni enormi per la scellerata alleanza tra gli architetti e  gli imprenditori: probabilmente il segreto più oscuro nella storia  dell’architettura moderna, quello che ha reso gli architetti più simili a dei  venditori, che scrivono pubblicità alte qualche decina di metri, pretendendo  che sia arte, mentre sono progettati soltanto come segni per spingere il flusso  di denaro nelle tasche dell’imprenditore. 
Influenzano virtualmente ogni parte della professione che oggi conosciamo come  architettura, e indica la necessità di un cambiamento in ciascuna di esse. 
Non c’è dubbio che sotto l’impatto di questa teoria l’architettura cambierà  profondamente: e cambierà per il meglio. 
               
              Una nota sulla scienza 
Vale la pena di concludere con una breve  dichiarazione su che cosa è scienza che cosa non lo è. Faccio questa  osservazione da fisico e matematico educato a Cambridge e poi come architetto e  ricercatore che ha guadagnato la prima medaglia d’oro dell’AIA per la ricerca  in Architettura. 
  Si fa scienza quando si capisce come funziona  una cosa. Questo è particolarmente vero se ci si immagina come funziona una  cosa che nessuno ha immaginato prima. 
  Non c’è bisogno di vestirla a festa, bisogna soltanto elaborarla.  
  Tutto il resto è abbigliamento. Linguaggio pomposo, impaginazione di sommari,  testi e dati, note a piè pagina, riferimenti eruditi, precedenti accuratamente  mobilitati… tutti questi sono i mezzi della scienza, l’apparenza della scienza,  non la scienza. Troppo spesso l’apparenza è presentata in modo tale da far  sembrare qualcosa scienza: ma è raro che qualcuno veramente capisca come  qualcosa funziona. 
  Il materiale del primo libro e il materiale  di “Pattern Language” di 25 anni prima, sono scienza. In entrambi i casi,  risposte pratiche parziali sono state date alle domande sul modo in cui la  struttura dell’ambiente influenza le persone. In entrambi i casi, in una prima  approssimazione abbiamo capito veramente come funziona. Sarebbe stato  possibile, nei due casi, vestire le scoperte concrete con un abito capriccioso:  ma non le avrebbe cambiato di molto.  
  Per esempio sarebbe stato possibile definire  i 253 modelli come modelli antropologico- dandogli in tal modo l’abito della  scienza, i riferimenti, il linguaggio e così via.  
  Sarebbe stato utile creare l’illusione di una scienza ‘forte’. Ma non avrebbe  cambiato il fatto che noi abbiamo in parte veramente capito come l’ambiente  sostiene la vita umana nella società. 
  Naturalmente non tutti i 253 modelli sono approfonditi allo stesso modo: ma  quasi da ognuno di loro si è capito. almeno in parte, come funziona il mondo.  
  Nel “Fenomeno della Vita” sono presentate  altre più profonde scoperte. 
  Non sarebbero state rese più significative da un abito antropologico o psicologico.  Valgono per se stesse e il lettore lo può vedere facilmente studiando il testo.  Ci sarà tempo dopo per vestirlo con un abito scientifico capriccioso, quando  comincia davvero il faticoso lavoro di andare nel dettaglio e di fare  esperimenti più accurati. Ma il lavoro più faticoso è stato fatto. 
  Il fenomeno della vita definisce i criteri  perché ci sia la vita negli edifici, e anche i test replicabili per decidere  quanta struttura vivente esiste nei differenti edifici. Naturalmente  l’apparenza di ciascun test di valore in architettura può far venire il sudore  freddo alla professione; ma se la professione teme il concetto può disapprovare  piuttosto che evitare di affrontare la questione. Questo è un invito per un  dibattito adulto. 
 
Testo 
  originale in inglese  |