TECNOLOGIA DAL VOLTO UMANO
estratto da: E.F. Schumacher, Technology with a human face in Small is beautiful, Cap.10, 1973
traduzione di Franca Bossalino

Il mondo moderno è stato plasmato dalla metafisica che ha plasmato l’educazione la quale, a sua volta, ha prodotto scienza e la tecnologia.
Quindi, senza tornare indietro alla metafisica e all’educazione, possiamo dire che il mondo moderno è stato plasmato dalla tecnologia che avanza crisi dopo crisi. Profezie di disastri arrivano da ogni parte e in realtà i segni del suo fallimento sono già visibili.
Se quello che è stato plasmato dalla tecnologia, e continua ad esserlo, sembra essere malato, potrebbe essere saggio rivolgere uno sguardo alla tecnologia. Se la sensazione è che la tecnologia stia diventando sempre più disumana, potremmo allora  considerare se è possibile avere qualcosa di meglio, per esempio, una tecnologia con un volto umano.
Strano a dirsi, la tecnologia- nonostante sia un prodotto umano- tende a svilupparsi secondo leggi e principi propri che sono molto diversi da quelli della natura dell’uomo e, in generale, della natura vivente. La Natura – si può dire- sa sempre dove e quando fermarsi. Ancora più grande del mistero della crescita naturale è il mistero della interruzione naturale della crescita.
In tutte le cose della natura c’è una misura- nella dimensione, nella velocità o nella violenza. Di conseguenza, il sistema della natura di cui l’uomo è parte tende ad auto- equilibrarsi, ad auto- adattarsi, e auto-depurarsi. Non è così per la tecnologia, o forse, dovrei dire che non è così per l’uomo dominato dalla tecnologia e dalla specializzazione. La tecnologia non riconosce alcun principio di auto-limitazione, -in termini, per esempio, di dimensione, velocità o violenza. Perciò non possiede le virtù dell’auto-equilibrio, dell’auto-adattamento e dell’auto-depurazione.
Nel sistema delicato della natura, la tecnologia e, in particolare, la super-tecnologia del mondo moderno, agisce come un corpo estraneo e, oggi, i segnali del rigetto sono numerosi.
Improvvisamente, se non addirittura inaspettatamente, il mondo moderno, plasmato dalla tecnologia moderna, si trova coinvolto- simultaneamente- in tre crisi.
La prima è dovuta al fatto che la natura umana si rivolta contro i modelli tecnologici, organizzativi e politici disumani che percepisce come soffocanti e debilitanti; la seconda è dovuta al fatto che l’ambiente che sostiene la vita umana soffre, si lamenta e dà segni di parziale cedimento; la terza è dovuta al fatto che a chiunque sia ben informato sull’argomento appare chiaro che le irruzioni fatte nelle risorse non rinnovabili del pianeta- in particolare in quelle dei combustibili fossili- sono tali che si profilano per il futuro serie ristrettezze e possibili esaurimenti, per quanto possiamo prevedere.
Ciascuna delle tre crisi o malattie può diventare mortale. Non so quale delle tre potrà eventualmente provocare il collasso. Quello che è abbastanza chiaro è che un modo di vita che si basa sul materialismo, cioè sulla permanente, illimitata espansione in un ambiente finito, non può durare a lungo e che la sua aspettativa di vita è tanto più corta quanto più grande è il successo con cui persegue i suoi obiettivi espansionistici.
Se ci domandiamo dove ci hanno portato gli sviluppi impetuosi dell’industria mondiale nell’ultimo quarto del secolo, la risposta è alquanto scoraggiante. Dovunque, i problemi sembrano crescere più rapidamente delle soluzioni. E questo sembra valere sia per i paesi ricchi che per quelli poveri.
Non c’è niente, nell’esperienza degli ultimi 25 anni, che ci lasci supporre che la tecnologia moderna, come noi la conosciamo, possa davvero aiutarci a ridurre la povertà del mondo, per non parlare del problema della disoccupazione che già ha raggiunto livelli attorno al 30% in molti dei paesi cosiddetti in via di sviluppo e che adesso minaccia di diventare endemica anche in molti dei paesi ricchi. In ogni caso, i successi apparenti –ancorchè illusori- degli ultimi 25 anni non potranno ripetersi: a questo provvederà la triplice crisi di cui ho parlato.
Pertanto, sarà meglio affrontare la questione della tecnologia: che cosa fa e che cosa dovrebbe fare? Possiamo sviluppare una tecnologia che ci aiuti a risolvere i nostri problemi, cioè, una tecnologia dal volto umano?

Da Barbara Ward  La casa dell’uomo, 1976
<Le vecchie immagini di potere e utilità, si sono lasciate dietro montagne di rifiuti, fiumi avvelenati, città oppresse dallo smog, discariche insalubri e spiagge inquinate.
La nuova opinione è che non c’è nulla di <usato> la cui funzione sia terminata. Ogni cosa muta semplicemente forma e se non ci si fa guidare dalla cura e dalla conoscenza, tale forma può essere inquinante e pericolosa per la vita stessa.
Ancora 15 anni fa questo senso della continuità della natura era sentito principalmente dagli scienziati operanti nelle varie discipline. Oggi comincia ad essere un modo nuovo e generale di guardare all’intera esistenza organizzata dall’ uomo nei suoi insediamenti.
[...] Le affermazioni dei saggi del passato vengono confermate oggi dalla natura del pianeta. I fragili meccanismi del nostro mondo non sono in grado di resistere a pressioni eccessive. Un abuso violento del sistema che costituisce il supporto della vita- nelle grandi città, nei campi e nelle fattorie- distrugge la vita dei fiumi e del suolo e mina l’integrità dell’esistenza umana. Un consumo violento delle risorse del pianeta non lascerà nulla da consumare [...]>

Da Eugenio A. Lomba-Ortiz La prospettiva dell'ecologia profonda, 2003
traduzione di Franca Bossalino
[...] Oggi, il movimento del progetto ecologico tende a considerare i problemi progettuali relativi a un punto particolare dello spazio e del tempo dimenticando la natura dinamica dei sistemi e i processi al loro interno. Molti di questi progettisti ecologici non considerano il ciclo di vita dei loro progetti né il ciclo di vita dei materiali. Oltre a trascurare la natura dinamica degli ecosistemi, i progetti ecologici più comuni tendono a considerare i vari temi in modo molto semplificato, senza interrogarsi veramente sui temi più profondi. Questo appare in modo  evidente quando si sfogliano le riviste professionali, come Landscape Architecture Magazine o Landscape Design che descrivono quelli che vengono considerati progetti ecologici.  Per esempio, in uno di questi progetti si mette in evidenza il modo in cui si fa un buon uso dell’acqua piovana progettando parcheggi ricoperti di erba verde. Questa soluzione, sebbene  in apparenza riesca a trattare il tema delle acque di scolo per un certo “particolare punto nello spazio e nel tempo”, è priva del  senso più profondo di responsabilità nel considerare i temi più grandi e importanti, quali  la dipendenza dall’automobile e gli effetti  del trasporto sugli eco-sistemi naturali.
E’ evidente che l’ecologia all’interno del progetto ha bisogno di una revisione critica. La conoscenza attuale e i paradigmi  impliciti nello studio degli eco-sistemi dovrebbero essere  travasati nel progetto al fine di una vera integrazione nell’espressione specifica del progetto. 
Perchè i progettisti ( in particolare gli eco-progettisti) dovrebbero occuparsi dell’ecologia profonda e delle sue possibili relazioni con il progetto?
Probabilmente, il compito più grande con cui qualunque progettista dovrebbe confrontarsi è quello di lavorare su se stesso, di  coltivare la sua coscienza ecologica, di diventare consapevole della “esistenza degli uccelli, delle formiche, delle rocce, degli alberi, dei lupi e degli oceani”, di rendersi conto che tutto è interconnesso.
L’essenza dell’ecologia profonda sta nell’indagare le domande ‘più profonde’, le domande che riguardano la vita umana, la società e la natura. I progettisti dovrebbero porsi domande sull’establishment, sulle forme della tecnologia -e come, in ultima analisi, la tecnologia si relaziona all’ambiente- sulle alternative innovative dei materiali, sull’impatto socio-economico dei loro progetti sulla cultura locale e poi, e forse solo allora, il progetto ecologico potrebbe diventare “semplice nei mezzi, ricco nei fini”.

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